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 2021  marzo 06 Sabato calendario

Dardust, il Re Mida della musica italiana

Altro che Covid: Sanremo 2021 è un Festival Dardust edition. Il suo tocco è magico. Ne sa qualcosa Mahmood, che nel 2019 trionfò a sorpresa a Sanremo da totale sconosciuto con Soldi: sua l’intuizione dell’accattivante clap clap del ritornello che contribuì alla vittoria del cantante. E come Mahmood anche star del pop come Elisa, Jovanotti e Tommaso Paradiso e della nuova scena come Rkomi e Sfera Ebbasta, solo alcuni dei protagonisti della musica italiana con i quali il compositore ascolano ha lavorato negli ultimi anni, vincendo come autore e produttore qualcosa come 50 Dischi di platino. Quest’anno Dario Faini – è il vero nome del 45enne musicista – firma cinque delle 26 canzoni in gara nella categoria big: quelle di Madame, Irama, La Rappresentante di Lista, Noemi e Francesco Renga. E questa sera arriverà sul palco anche fisicamente, invitato da Amadeus come ospite della finale per suonare alcuni brani tratti dai suoi album da pianista: «Mi accompagneranno anche i tamburini della Quintana di Ascoli Piceno, una rievocazione storica che ogni anno anima le strade della mia città. L’atmosfera sarà futurista e al tempo stesso futuristica e classica, come nei miei concerti».
Ma il tempo per fare tutte queste cose dove lo trova?
«Nel 2020 ne ho avuto parecchio, non potendo suonare dal vivo. La promozione dell’ultimo album, S.A.D. – Storm and Drugs, uscito due mesi prima del lockdown, è stata inevitabilmente sospesa. L’unico modo per continuare a fare musica era lavorare in studio».
Non si è risparmiato. Era dal 1983 che un autore, in quel caso Zucchero, non firmava più di quattro pezzi in gara al Festival: non teme la sovraesposizione?
«Sì. E infatti ho già deciso che dopo Sanremo e dopo aver chiuso le ultime produzioni mi prenderò una pausa dall’attività di autore e produttore per altri».
Ora però è il nome del momento: e se poi perde il posto?
«Pazienza, fa parte del gioco. Voglio scrivere un nuovo disco e per farlo ho bisogno di staccare. Me ne andrò in Giappone a cercare nuove influenze, dopo il Regno Unito e l’Islanda».
Le capita mai di rifiutare delle proposte?
«Quando succede è perché sono veramente pieno e non riesco a lavorare con il giusto impegno».
È raro. Basti dare un’occhiata alla lista di successi ai quali ha lavorato nell’ultimo anno: da Rapide di Mahmood a quelli in gara al Festival, passando per Andromeda e Guaranà di Elodie e Ma lo vuoi capire di Paradiso. Si sente davvero il Re Mida del pop italiano?
«Macché: quell’etichetta mi fa venire l’ansia da prestazione. Io mi sento più un artigiano. Non faccio questo lavoro per mettere in bella mostra i Dischi di platino».
E per cosa lo fa?
«Mi innamoro di tutto e sono curioso. Sperimento e lavorando con gli altri scopro cose nuove. Negli ultimi mesi ho anche registrato con artisti internazionali come il cantante spagnolo Mori e il francese Lord Esperanza. Non mi dispiacerebbe ambire anche a un successo fuori dall’Italia».
A volte si firma come Dardust: è il caso de La Rappresentante di Lista, Irama e Madame. Altre come Dario Faini, nel brano di Renga e in quello di Noemi. Cosa cambia?
«È un modo per dividere la mia attitudine più sperimentale da quella più classica. Come Dardust cerco di portare nel pop suoni e atmosfere underground, come Dario Faini firmo brani più in linea con la tradizione».
Dopo Soldi niente è stato più lo stesso a Sanremo?
«Quello di Mahmood resta un successo eccezionale. La tradizione continua a farla da padrona. Lo testimonia anche la classifica di quest’anno, dopo le prime serate. Certe proposte hanno bisogno di più tempo per essere capite. Intanto Madame e Irama vanno forti in streaming: conta quello, oggi».
Se l’anno prossimo un personaggio fresco come Alessandro Cattelan dovesse condurre il Festival e le proponesse di dargli una mano nella scelta delle canzoni, accetterebbe?
«Sicuramente ce la metterei tutta: mi impegnerei al massimo. Ora vorrei fare meno l’addetto e diventare un po’ più artista. Non ho la voce, è vero: la sfida grande è quella di riuscire ad esprimermi senza avere la voce».