La Stampa, 5 marzo 2021
La lezione di Cassese: impariamo dalla volpe
Chi ha letto le Prediche inutili di Luigi Einaudi, libro fondamentale per capire e riflettere sulla crisi italiana, tratto dagli appunti che il primo Presidente della Repubblica prendeva nel corso del suo settennato (1948-55), troverà molti fili che si riannodano con Una volta il futuro era migliore - Lezioni per invertire la rotta di Sabino Cassese, appena pubblicato da Solferino. Cassese è uno dei maggiori giuristi italiani. Ha insegnato e insegna nelle università di mezzo mondo. È stato ministro della Funzione pubblica con Ciampi e giudice costituzionale con Mattarella. Ma guai ad aspettarsi una dotta dissertazione giuridica. Tutt’altro.
Questo piccolo pamphlet che incrocia storia, politica, istituzioni, economia e cultura cerca di rispondere alla domanda contenuta nel titolo: perché, pur vivendo meglio di venti o trent’anni fa, e infinitamente meglio dei nostri padri e nonni, continuiamo a lamentarci del rischio di un futuro peggiore? Un futuro del quale siamo pienamente responsabili, che andrà in eredità ai nostri figli e saremmo perfettamente in condizione di rendere migliore di come ce lo aspettiamo.
Cassese tratteggia all’inizio tutti i cambiamenti di cui possiamo rallegrarci. A cominciare, ovviamente, dallo smartphone, che ha reso ciascuno di noi padrone di un sistema di comunicazione e di calcolo superiore a quello dello storico supercomputer Ibm Stretch del 1961, lungo 10 metri, pesante 18 tonnellate e con un costo di otto milioni di dollari, cioè settemila volte l’attuale prezzo di un telefonino. I cellulari di ultima generazione, lo sappiamo, hanno velocizzato i rapporti e rivoluzionato la società: se nel 1453 il Papa seppe della caduta di Costantinopoli dopo quaranta giorni, e nel 2001 abbiamo assistito in diretta tv all’attacco alle Torri Gemelle, nel 2020 Facebook è stata in grado di connettere due miliardi di utenti, 35 milioni in Italia. Se nel 1869 la ferrovia americana che collegava la costa atlantica con quella del Pacifico aveva in realtà fondato gli Stati Uniti d’America, nel 2018, due anni prima della pandemia che ha praticamente cancellato i voli, gli aerei trasportavano da un capo all’altro del mondo quattro miliardi e 400 milioni di passeggeri.
La vita - annota Cassese - è migliorata sotto molti aspetti. Abitiamo in case più comode e riscaldate. Ci ammaliamo di meno (a parte il Covid). Viviamo più a lungo. L’Italia gode da oltre settant’anni della democrazia, e la società civile, una volta contrapposta all’autorità dello Stato, grazie alla larghissima diffusione dei social forum, «ha molte più possibilità di farsi sentire». Perché allora siamo afflitti da tante inquietudini e da un timore crescente per il futuro?
Temiamo la scomparsa dell’Occidente, della sua rassicurante ambizione di progresso. Vediamo intorno a noi recrudescenze di razzismo, nazionalismo, odio. Pensiamo che l’acuirsi delle diseguaglianze finirà col minacciarci. La crisi economica accende in noi l’incubo di un repentino impoverimento. Siamo padri e madri di figli che non trovano lavoro. Ci sentiamo circondati da una maggioranza di ignoranti, incompetenti, arroganti. Il popolo dell’«uno vale uno». Trump che urlava nei suoi comizi «I love the poorly educated», amo chi è poco istruito. Avvertiamo una sfiducia nella democrazia dei partiti e dei sindacati (che hanno sempre meno iscritti) e delle istituzioni. E una crescente domanda di «democrazia immediata», fondata, cioè, sull’illusione che la convinzione del momento, comunicata attraverso i social, debba essere comunque accontentata. Ci sembra che la società non sia più comunità, e si faccia strada un «neo-individualismo».
L’autore si domanda: quale delle due percezioni è più reale, il presente migliore o il futuro peggiore? E a malincuore si risponde: entrambe. Non resta quindi che individuare un metodo e degli obiettivi per far sì che il nostro futuro possa cambiare. Cassese ha qualche consiglio da offrire. Il primo suggerito da Isaiah Berlin: fare come la volpe, che segue molte piste, e non come il riccio, che scava solo in una direzione. E poi: studiare, perché «dall’istruzione non dipende soltanto l’avvenire di ciascuno, ma anche il progresso civile». Non accontentarsi delle partizioni tradizionali. Imparare «a veder le cose come sono, mentre le idee che ci vengono inculcate dall’infanzia ce le fanno veder come non sono». Usare bene il proprio tempo. Scegliersi un maestro: «Maestro è chi ci indica un limite e chi sa risvegliar in noi una passione». Individuare un percorso professionale «ma non tralasciare gli altri che si presentano, perché il futuro non dipende solo dalla propria vocazione o inclinazione, ma anche dalle circostanze». Partecipare attivamente alla vita della comunità in cui si vive. Coniugare l’utopia con il senso concreto del percorso, cioè guardare più avanti. Non aver paura degli errori. Churchill diceva che «il successo è l’abilità di passare da un fallimento a un altro».