5 marzo 2021
Biografia di Lamberto Giannini
Giuliano Foschini, la Repubblica
Lamberto Giannini è il nuovo capo della Polizia. Lo ha deciso ieri il Consiglio dei ministri, scegliendolo come successore di Franco Gabrielli, nuovo sottosegretario alla Presidenza con delega ai Servizi. Una scelta di continuità, preferita dal premier Mario Draghi rispetto a nomi - come per esempio quelli di Vittorio Rizzi e Maria Luisa Pellizzari che il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese aveva messo sul tavolo.
Giannini è l’erede naturale di Gabrielli, per formazione, cultura e anche amicizia personale. Esiste un vocabolario comune e soprattutto una certa maniera di intendere la Polizia. Una cultura democratica di un poliziotto di scuola Digos, legatissimo ai suoi uomini, abituato a un pensiero lungo ma in grado anche di decidere interventi in tempi brevissimi, convinto che la "strada" si possa governare soltanto studiandola, interpretandola e capendone le ragioni.
Per Giannini parla la sua storia. È stato il poliziotto italiano più coinvolto nella lotta al terrorismo negli ultimi 20 anni. Prima quello interno, poi quello internazionale. Alla Digos di Roma – ufficio dove ha lavorato prima proprio accanto a Gabrielli e che poi ha guidato fino al 2015 - ha indagato e arrestato i vertici delle Nuove brigate rosse, Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, responsabili degli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi. Ha arrestato personalmente alcuni di quei brigatisti che avevano in mente di creare una nuova struttura e stagione del terrore in Italia, cercando e scoprendo il loro covo dove era conservato tutto l’archivio. A Roma ha compreso per primo e colpito i pericoli della nuova destra xenofoba, neofascista, che non era folklore, ma un pericolo per la democrazia. E ha unito i puntini che collegavano le curve violente degli stadi, l’estremismo politico e la criminalità organizzata. D’altronde il calcio è una delle grandi passioni del nuovo capo della Polizia: romano e romanista, devoto di Francesco Totti, di cui ha la maglia numero 10 incorniciata nella stanza.
Nel 2015 Giannini lascia la questura di Roma perché viene nominato capo del Servizio antiterrorismo. È la stagione dell’Isis, con la strage del Bataclan che arriva dopo l’attacco del Charlie Hebdo. Giannini si trova a guidare la prevenzione italiana dopo che nel 2005, a Roma, si era già occupato di terrorismo internazionale arrestando uno dei terroristi della metropolitana di Londra, che si nascondeva in un appartamento a Torpignattara. E contro l’Isis mette in campo tutto il suo metodo nella lotta alle Brigate rosse e alla criminalità: controllo capillare del territorio, in modo da poter prevenire ogni possibile attacco. Analisi degli strumenti tecnici e normativi, di cui si occupa anche in un libro scritto con l’allora procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti. A Milano i suoi uomini intercettano un albanese che aveva acquistato una pistola, ed era pronto a colpire. A Bari scoprono i viaggi di uno dei killer del Bataclan e, analizzando i documenti di viaggio, arrestano i fiancheggiatori che erano pronti a colpire in Italia. L’Europa è sotto attacco – Berlino, Manchester – ma il nostro Paese sembra essere immune. Come mai, fu chiesto a un magistrato di primissima fascia? «I motivi sono tre – rispose – La fortuna. Il non avere un nucleo radicato di seconde e terze generazioni. E la capacità dei nostri servizi di prevenzione, che stanno applicando al contrasto al terrorismo lo stesso metodo utilizzato con criminalità organizzata e terrorismo interno». Lamberto Giannini è il motivo numero tre.
Nel gennaio dello scorso anno è stato nominato Capo segreteria del Dipartimento di pubblica sicurezza. Ed è il presidente del Casa, il Comitato di Analisi strategica antiterrorismo. In estate aveva detto:«L’Isis strumentalizza la crisi sanitaria: il virus è un soldato di Allah». Probabilmente il nuovo capo della Polizia ricomincerà da qui.
***
Francesco Grignetti, La Stampa
La polizia ha un nuovo Capo, si chiama Lamberto Giannini, ed è un esperto di terrorismo ed eversione. È soprattutto una specie di fratello minore del prefetto Franco Gabrielli, che nel frattempo è diventato sottosegretario con l’incarico di sovrintendere sui servizi segreti per delega diretta di Mario Draghi. E così, con la nomina di Fabrizio Curcio al Dipartimento della Protezione civile, e ora la scelta di Giannini al Dipartimento di Ps (che per legge coordina anche le altre forze di polizia), si crea una squadra coesa e volitiva. Una squadra di amici. Il che non guasta nel tentativo di ridare efficienza allo Stato in epoca di Covid.
Di Giannini si raccontano sempre i soliti aneddoti. Che è romanista sfegatato, felice di avere una maglia di Totti incorniciata in ufficio. Che ha una famiglia felice e accompagna le figlie a scuola. Che è una buona forchetta. Che è persona colta, attenta, sempre rispettosa, sia degli amici, sia dei nemici. La sua carriera si svolge tutta nel contrasto all’eversione, fin dal 1989, quando entra venticinquenne in polizia dopo essersi laureato in giurisprudenza alla Sapienza. L’inchiesta più importante arriva dieci anni dopo: dal nulla si materializzano le nuove Brigate rosse e uccidono prima a Roma il professor Massimo D’Antona (1999), poi a Bologna il professor Marco Biagi (2002).
Giannini è il vice di Gabrielli alla Digos della Capitale. I due ci mettono l’anima e alla fine, con un’indagine classica, un indizio dopo l’altro, ricostruiscono l’organigramma del gruppo.
In seguito, quando Gabrielli va ad altri incarichi, Giannini diventa capo della Digos. Gli tocca seguire migliaia di cortei, di partite allo stadio, di indagini su gruppi e gruppuscoli. Nel 2013 lo promuovono direttore del Servizio centrale antiterrorismo. Poi dal 2016 al 2020 guida la Direzione centrale della polizia di prevenzione. Il suo nome in questi anni si sente poco. Capita nel 2005, in occasione dell’arresto a Roma di Osman Hussain, uno degli attentatori di Londra, un foreign fighter in fuga. O nel 2009, per aver sgominato una cellula che aveva programmato un attentato al G8 della Maddalena, poi trasferito all’Aquila. E basta.
Questo silenzio, però, è forse la medaglia più grande per uno "sbirro" che si occupa di prevenzione del terrorismo. Significa che ha lavorato non bene, ma benissimo. E se l’Italia, a differenza di quasi tutti i Paesi europei, non ha subito attentati islamisti, è anche merito suo, presidente del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, per la capacità di analisi, le intuizioni, la voglia di fare squadra con l’intelligence e i colleghi delle polizie italiane e straniere. Ora, davanti a una criminalità arrembante, una pandemia che alimenta ogni ribellismo, mafie silenti ma voraci e con organici ridotti al lumicino, questa disponibilità a fare squadra può essere l’arma in più. E così lo saluta la ministra Luciana Lamorgese, che l’ha proposto: «Solida garanzia per cittadini e forze di polizia».
***
Giovani Bianconi, Corriere della Sera
Due mesi fa, quando il capo della polizia Franco Gabrielli l’ha chiamato al suo fianco come capo-segreteria del Dipartimento della Pubblica sicurezza, Lamberto Giannini non riusciva a nascondere un po’ di malinconia; non era facile lasciare una strada percorsa tutta all’interno della «polizia politica»: dalla gavetta nella Digos di Roma fino ai vertici dell’Antiterrorismo e della Polizia di prevenzione, con i gradi di prefetto. Un lavoro divenuto passione, e viceversa. Si trattava però di una deviazione finalizzata a ulteriori traguardi, pensata e voluta dallo stesso Gabrielli per preparare una successione che ha avuto una brusca accelerata dopo che Draghi l’ha scelto come sottosegretario con delega ai servizi segreti.
La nomina ratificata ieri dal Consiglio dei ministri, su proposta della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, proprio perché «anticipata» e per certi versi imprevista, segna in maniera ancora più marcata la continuità tra il passato e il futuro. Perché anche Gabrielli ha nel suo Dna le Digos e l’antiterrorismo, dove ha colto i maggiori successi da investigatore e dirigente; e il suo erede è sempre stato uno dei suoi principali collaboratori: prima alla Questura di Roma e poi durante la guida dell’istituzione.
A 57 anni compiuti, Lamberto Giannini non è il più giovane capo della polizia, ma la faccia da ragazzo e la voglia di essere sempre in strada insieme ai suoi uomini (o nella boscaglia, come quando nel settembre scorso si precipitò a Poggio Catino per vedere di persona un vecchio archivio-arsenale delle Brigate rosse sepolto da decenni e appena dissotterrato) possono dare questa impressione. Come i due figli che ancora vanno alle elementari e all’asilo, avuti dalla moglie funzionaria di polizia, e il tifo accanito per la Roma.
Un investigatore abituato a vestire anche i panni del mediatore, come quando si presentava in piazza — giacca e cravatta in mezzo ai caschi e agli scudi dei Reparti mobili — per trattare con i dimostranti e cercare di evitare disordini (o di evitarne troppi) nelle manifestazioni più difficili. Con la complicata missione di garantire il diritto alla protesta e al tempo stesso scongiurare violenze. Compito che ha svolto per anni nella capitale, e successivamente su scala nazionale, con il trasferimento alla Prevenzione: antiterrorismo e controllo dell’ordine pubblico, compresi i più recenti problemi legati alle tensioni sociali scaturite dall’emergenza coronavirus.
La continuità tra Giannini e il suo predecessore ricalca quella che ha caratterizzato la guida della polizia in un’altra epoca, quella degli investigatori cresciuti alla scuola delle Squadre mobili: da Fernando Masone a Gianni De Gennaro, da Antonio Manganelli ad Alessandro Pansa. Dal 2016, con Gabrielli (primo capo «figlio» della smilitarizzazione del Corpo, arruolato dopo la riforma) si è passati alla direzione affidata agli uomini delle Digos, e adesso si prosegue con Giannini. Mentre Gabrielli ha assunto un incarico che, nelle intenzioni del premier Draghi, non si limita ai servizi segreti ma si estende ai problemi più generali della sicurezza.
Una sorta di delega «allargata» foriera di qualche perplessità nella titolare del Viminale, Luciana Lamorgese, preoccupata che qualcuno potesse considerare sminuito il proprio ruolo, o addirittura «commissariato». Sospetti allontanati, nel suo discorso di commiato, dallo stesso neo-sottosegretario che aveva predisposto la successione: «Il sistema vede nella figura del ministro dell’Interno l’unica autorità nazionale di pubblica sicurezza, che in questo ruolo così fondamentale si avvale di un’amministrazione che a livello centrale è incarnata nel Dipartimento della pubblica sicurezza». Guidato dal capo della polizia, certo, ma soprattutto da «un prefetto della Repubblica» che in quelle vesti non serve il Corpo di appartenenza bensì l’istituzione che, a livello politico, fa capo al ministro dell’Interno.
Dunque funzioni e competenze restano chiare e ben definite. Anche dopo la scelta del nuovo vertice tecnico che ha messo fine a una settimana di transizione in cui erano circolati altri nomi di possibili candidati. Altrettanto qualificati, ma non così legati alla gestione precedente.