ItaliaOggi, 4 marzo 2021
Pd, un partito dove c’è lotta continua
È scontato: nel Pd il congresso è continuo. L’aveva sperimentato il rottomatore, lo verifica Nicola Zingaretti, diversissimo per carattere, tradizione, personalità da Matteo Renzi. Non importa se Matteo Renzi esternava la Margherita o, volendo, l’antica diccì, e se il suo successore, andando indietro di anni e fati, tiri fuori del cappello niente meno che il Pci. Resta un fatto: fra i democratici non si riesce a trovare unità d’indirizzo.
Ciascuno procede per contro proprio, il correntismo permane, le ambizioni personali si sommano alle divergenze politiche. Non va dimenticato un fatto di base: i parlamentari sono, in buona misura, scelti dal segretario in carica. In tal modo i segretari del partito influirono, e influiscono, sui propri successori. Renzi dovette fare i conti con deputati e senatori fatti eleggere da Pier Luigi Bersani, mentre Zingaretti si trova in minoranza nei gruppi parlamentari. E la scissione? Senza dubbio una buona quota di parlamentari se n’è andata, molti però sono rimasti nel Pd, venendone a costituire di fatto la maggioranza. In tal modo Zingaretti annaspa. Il segretario è lui, quindi può rifiutare intese che ne sbilancino il futuro, imponendo il proprio ruolo. Le richieste, tuttavia, non mancano, culminando in un congresso che il segretario in carica rifiuta, preferendo tenersi in minoranza nei gruppi ma in maggioranza nel partito.
Nello stesso tempo c’è chi vorrebbe entrare. Caso tipico è Leu. Il partito, in quanto tale, non esiste nemmeno: è costituito da gruppetti di parlamentari aderenti a più partiti, nemmeno tutti propensi a sostenere l’unità nazionale. Tolta la posizione personale di Roberto Speranza, pur tarpato nelle ali tecniche, Leu è come se non esistesse. D’altra parte, Bersani detestava Renzi ed era pronto a rientrare. Non sarebbe un ritorno trionfale, ma insomma consentirebbe di nuovo la presenza in un partito vero e non più in un piccolo movimento. L’antico Pci guadagnerebbe così spazio.
Ben più importante sarebbe il ritorno a casa di Renzi. Parole, almeno per ora. Chi invece conta sono i renziani, rimasti nel Pd in misura abnorme rispetto alle attese di Renzi. Di qui, la loro pressione contro il segretario, per un congresso, per ottenere risultati concreti. È l’opposto della ricerca di nuovi spazi operata da Zingaretti. Non si capisce, infatti, come potrebbe adattarsi la politica renziana a quella di largo del Nazareno.
Renzi la politica di Berlusconi può non dispiacere, mentre la contrarietà è totale per l’accordo con i 5 stelle. È infatti il momento dell’opposizione senza aggettivi propinata contro i pentastellati fin da dicembre. Zingaretti, no. Zingaretti è per intendersela con il M5s, in attesa o meno di Giuseppe Conte. La presenza dell’ex presidente del Consiglio potrebbe giovare all’accordo con Zingaretti, detestato invece da quasi metà della base e degli stessi eletti pentastellati. In tal modo viene meno la possibilità di un accordo interno, con sommovimenti, invece, dei renziani, ai quali preme avere più spazio in un esecutivo nel quale si sentono in disparte.