la Repubblica, 4 marzo 2021
Missili contro una base americana in Iraq
CITTà DEL VATICANO – L’ultimo attacco missilistico di ieri, sferrato contro una base militare che ospita truppe americane in Iraq e che ha provocato la morte di una persona, non ferma il viaggio del Papa da domani a lunedì nel Paese del Tigri e dell’Eufrate. Dieci razzi hanno colpito la base di Ain al-Asad, nella provincia occidentale di Anbar, che ospita truppe anche della coalizione e dell’esercito iracheno. Ma la trentatreesima visita apostolica di Francesco, la prima in un Paese a maggioranza sciita, a meno di decisioni dell’ultima ora è confermata. Da Fiumicino, dove è previsto un saluto di Mario Draghi come accade per ogni premier italiano a inizio di ogni nuovo mandato governativo, Francesco volerà alla volta di Bagdad. I rischi, anche legati alla pandemia, ci sono, come ha ammesso l’altro ieri il portavoce vaticano Matteo Bruni, ma la volontà di partire al momento li supera. Ed anche se le esigenze di distanziamento sociale comporteranno che la maggior parte degli iracheni vedrà gli eventi papali solo in televisione, l’importante è che «vedranno che il Papa è lì nel loro Paese», ha detto Francesco un mese fa ai giornalisti della agenzia cattolica americana Cns. E ancora: «Sono il pastore delle persone che soffrono», ha aggiunto. «Il popolo iracheno ci aspetta – ha detto ieri Bergoglio durante l’udienza generale – Aspettava Giovanni Paolo II: non si può deludere un popolo per la seconda volta. Preghiamo perché questo viaggio si possa fare bene». Si tratta a tutti gli effetti di una visita storica. Il motivo l’ha ricordato bene ieri il giornale dei vescovi italiani Avvenire : Francesco SABAH ARAR/afp visita un Paese «che ha vissuto quattro conflitti negli ultimi quattro decenni». Ma è anche il primo viaggio «dell’era pandemica, e può così a ragione considerarsi un viaggio storico». Il Papa, che con ogni probabilità negli spostamenti cittadini userà una macchina blindata, pregherà nella cattedrale siro cattolica di Bagdad dove nel 2010 vennero uccise 48 persone. A Najaf incontrerà l’ayatollah Alì Al-Sistani, massima autorità sciita del Paese e poi si recherà a Ur, la piana che Wojtyla sognava di visitare, la terra del patriarca Abramo a cui anche ebrei e musulmani guardano come ad un modello di incondizionata sottomissione al volere di Dio. Quindi l’arrivo a Erbil, Mosul, Qaraqosh, nel Kurdistan iracheno dove la minoranza yazita è stata perseguitata dall’Isis, costretta alla fuga e poi dimenticata da tutti. “Siete tutti fratelli” è non a caso il logo della visita tratto dal Vangelo di Matteo. L’Iraq è culla di civiltà, terra di Abramo ed anche dei profeti Ezechiele e Giona, luogo dove il popolo della Promessa soffrì l’esilio babilonese. Dire “fratelli tutti” significa anche sgombrare il campo da griglie interpretative fuorvianti, a partire, scrive l’agenzia Fides, da quelle che insistono a presentare la visita come una operazione volta a «rafforzare» la posizione sociale e politica dei cristiani nelle convulsioni mediorientali. «Il Papa – chiarisce non a caso sempre a Fides il cardinale Luis Raphael Sako, patriarca caldeo di Bagdad – non viene a difendere e proteggere i cristiani. Il Papa non è il capo di un esercito». Piuttosto, «incoraggerà i cristiani, porterà loro conforto e speranza per aiutarli a perseverare, a sperare e anche a collaborare con gli altri cittadini».