ItaliaOggi, 3 marzo 2021
Riders over 50
La Procura di Milano ha censito 60 mila riders e ordinato, per tutti, l’assunzione. Le società di delivery si stanno opponendo. Sarà possibile trovare un punto di equilibrio, cioè (come per altre tipologie di lavoro) garantire tutele e sicurezze riconoscendo al contempo quella flessibilità indispensabile alle altalenanti consegne? La questione non va sottovalutata poiché si tratta di regolamentare (finalmente) i nuovi lavori legati alle piattaforme digitali (e agli algoritmi), cioè la gig economy.
Il clichè è che in sella a biciclette e motorini vi siano giovani, soprattutto studenti, che in questo modo racimolano un po’ di denaro. Non è così. Anche la Banca d’Italia ha effettuato un’indagine. Da essa risulta che quasi il 20% dei riders è laureato (le donne sono il 15,2%, gli stranieri il 22,8%). Per colpa della crisi sanitaria l’età media si sta alzando, era di 25,4 anni, adesso si superano i 30. Ma chi sono questi riders attempati, coloro che hanno scelto questa strada per cercare di parare i colpi della pandemia? Conoscerli è utile anche per capire le trasformazioni in corso. Uno squarcio si è aperto con la rapina a Gianni Lanciano, avvenuta a Calata Capodichino (Napoli) all’inizio di gennaio, con 6 ragazzi che lo hanno picchiato per sottrargli il motorino.
Ebbene questo rider ha 50 anni. Era disoccupato, aveva lavorato al reparto macelleria dell’Auchan, poi licenziato in seguito ai tagli al personale. Riesce a sostenere in qualche modo la famiglia facendo le consegne, utilizzando il motorino della figlia, un regalo per i suoi 18 anni, quello che gli è stato sottratto. In rete è partita una raccolta di denaro che gli ha consentito di acquistarne uno. Dice: «Voglio che sia fatta giustizia perché quello che è capitato a me può accadere praticamente a chiunque. Ho fatto il macellaio per 27 anni, vorrei fare il mio mestiere, voglio lavorare. Ma intanto in questo modo riesco a tirare avanti».
Gianni Lanciano è uno dei riders anta. Ora ce ne sono tanti. Per esempio la milanese Laura Morelli, 59 anni. La società di delivery per la quale lavora è Glovo. Racconta: «Ci sono tempi stretti da rispettare e non si guadagna molto. Però lo faccio volentieri. Vivo questa esperienza per guadagnare qualcosina. Per dieci anni sono stata capocantiere in imprese di restauro e lì ho guadagnato il necessario per acquistare due immobili dai quali oggi ho una piccola rendita. Nella mia vita, mi sono sempre trovata a fare cose diverse. Prima ci soffrivo, non perché non mi piacesse ma perché l’ambiente sociale circostante richiedeva, come modello, il lavoro unico. Solo che a me questa cosa dell’identità unica è sempre stata stretta. Oggi vivo a Milano in cohousing: 100 mq che condivido con una coppia e un singolo».
Davide Lazzarini ha invece 47 anni, il suo vero mestiere è operatore nel campo dello spettacolo, ma col Covid i locali sono chiusi e niente paga. È sposato, tre figli. Abita a Imola e qui s’è messo a fare il rider «perché la nostra categoria, quella dello spettacolo, è stata la prima ad essere colpita fortemente dalle restrizioni», dice, «la musica vietata nei locali e il fermo generale a qualsiasi forma di aggregazione hanno messo letteralmente in ginocchio i professionisti del settore. Ora consegno le pizze a domicilio, munito di guanti e mascherina. Prevedo tempi lunghi per la ripresa del settore spettacolo e quindi meno male che ci sono le pizze».
Sempre meno giovani. Anche Diego Cajelli, quasi 50anni, milanese, scrittore di talento, sceneggiatore di fumetti, ha inforcato la bicicletta: «Il rider è un mestiere onesto, pulito, che mi piace anche tanto fare, ma che farò solo per un periodo limitato. Prima della crisi sanitaria stavo lavorando moltissimo con spettacoli teatrali e altro. Poi il Covid ha bloccato tutto. E al tempo stesso mi sono reso conto che lo storytelling di massa che viene fatto su questa cosa non è corretto: bisognerebbe parlare anche dei problemi delle persone che, per esempio, non vengono toccate dai ristori come tutte quelle che hanno una partita Iva come me, che ho sempre lavorato in ritenuta da diritto d’autore. Tornerò a scrivere fumetti ma intanto sto vivendo questo nuovo lavoro come un’opportunità, ho la possibilità di girare di notte in una città vuota.
La cosa impressionante è che questa città è fredda e vuota: ci sono delle persone nelle case che aprono solo uno spiraglio della porta, quel tanto che basta per passare dentro la merce. Quello che mi colpisce di più è che sto vivendo un lato di Milano che non avevo mai visto: sembra una città post nucleare, post disastrata… questa cosa mi ha messo nelle condizioni di riflettere anche su me stesso». Perché ha scelto di diventare driver? «Perché con un curriculum come il mio sono troppo qualificato per fare qualsiasi altra cosa», risponde. Su Facebook pubblica a volte commenti sulla città: «Attraverso Milano di notte», spiega, «faccio una ventina di consegne, e la vedo triste perché vuota. Ma al tempo stesso offre scorci meravigliosi. Avevo dimenticato di quanto fosse bella. Viaggio da un punto a un altro guidato da un algoritmo ma i luoghi che tocco risvegliano in me ricordi e suggestioni».
Lui è più giovane ma altrettanto singolare è la sua vicenda. Andrea Nasi, torinese, 37 anni, ha un negozio di oreficeria. Chiuso a intermittenza per via dei colori Covid e anche quando è aperto gli affari sono scarsi perché la gente non spende. Dice: «Quando è arrivata la prima settimana di lockdown l’ho presa con filosofia e mi sono riposato. Appena ho capito che le cose sarebbero andate per le lunghe mi sono guardato intorno e ho deciso di lucidare freni e sellino della mia bici. Ho mandato un’email a Glovo e mi hanno preso. Se il mio negozio deve rimanere chiuso lavoro anche di giorno, altrimenti sto al bancone ad aspettare clienti che non arrivano in questo periodo e quando la sera abbasso la saracinesca vado a casa, mangio una cosa al volo, mi cambio, ed esco con la mia bici. Ormai ho un buon punteggio e lavoro parecchio. Guadagno circa 14 euro l’ora, senza garanzie. Ma con questi soldi riesco a tenere aperto il negozio, in attesa che l’emergenza finisca».
Barbara Vidor, 56 anni, vive a Landriano (Pavia). Ogni giorno, quando il bar è chiuso, carica la bici in auto e arriva a Milano, dove incomincia il giro delle consegne. Racconta: «Sono una barista da undici anni. Faccio la driver saltuariamente e guadagno circa 350 euro al mese. Ho sempre fatto sport, quindi non mi pesa pedalare. È come se fossi in palestra, io mi tengo in forma lo stesso senza dovere pagare per la cyclette».
Infine, Francesco Ruffino, 38 anni, fa le consegne a Palermo ed è, a modo suo, un recordman: «Sì, ho portato a destinazione 25 mila 225 ordini in tre anni, sembra che nessuno abbia fatto meglio di me», dice. «È un lavoro che mi piace, stai sempre fuori, ti confronti con i clienti, scambi due parole. Vado col motorino, anche il sabato e la domenica, i giorni in cui si lavora di più. Ho la partita Iva. Tra contributi, tasse e benzina riesco a guadagnare 1400-1500 euro netti al mese. Capisco che questo è un modello di lavoro flessibile, ma un po’ di stabilità non mi dispiacerebbe».
Vita da driver, non più solo per giovanissimi. Cambierà? In che modo? Intanto è utile aprire il coperchio sulla pentola della gig economy.