il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2021
Le fake news del processo Eni
Prima che i giudici si chiudano in camera di consiglio per emettere la sentenza, Eni spara gli ultimi fuochi d’artificio. In aula, le repliche finali degli avvocati difensori sono bloccate, perché il Covid ha colpito il presidente del collegio giudicante, Marco Tremolada. Ma fuori scoppiano i petardi, i tric-trac e perfino la Bomba di Maradona, anzi di Biden. Ad accendere la miccia sono alcuni giornali. La Verità spara la notizia di una “lettera che smonta le accuse della Nigeria al Cane a sei zampe”. Il Foglio gioca il jolly e scomoda, come testimone a difesa, nientemeno che il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.
Il processo è quello milanese in cui Eni, Shell, mediatori e manager (tra cui l’amministratore delegato Claudio Descalzi) sono accusati di corruzione internazionale per aver pagato 1 miliardo e 92 milioni di dollari per ottenere il permesso d’esplorazione del gigantesco campo petrolifero nigeriano Opl 245. La più gigantesca tangente mai scoperta, secondo i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Il normale pagamento della licenza ricevuta, secondo Eni, che ribadisce di aver versato i soldi sul conto a Londra del governo della Nigeria e non ritiene dunque di avere alcuna responsabilità per i successivi passaggi del denaro, poi distribuito a pubblici ufficiali nigeriani, politici, manager, mediatori. L’attuale governo del Paese africano, ritenendosi danneggiato per i soldi sottratti alle casse dello Stato, ha chiesto un risarcimento miliardario a Eni e Shell. Richiesta incomprensibile, scrive La Verità, perché una lettera del 14 giugno 2018, firmata dall’allora ministro del petrolio Emmanuel Ibe Kachiwu, propone a Eni, “con toni molto cordiali”, di passare dalla licenza di esplorazione (Opl) a quella di estrazione (Oml). E di rientrare al 50 per cento nell’affare, possibilità prevista dell’accordo Opl 245 firmato nel 2011 ma contestato nel processo. Dunque il governo di Abuja, scrive La Verità, sette anni dopo quell’accordo e a processo penale già avviato, “non ravvedeva alcun problema o illecito nella condotta di Eni e Shell”. Venerdì 26 febbraio le difese Eni hanno depositato nel processo – fuori tempo massimo, per documenti che avevano a disposizione fin dal 2018 – parte del carteggio tra Eni e Stato della Nigeria che dimostrerebbe la tesi anticipata dalla Verità. Peccato che nessuno spieghi che la Nigeria nel 2018 chiedeva sì di rientrare al 50 per cento nello sfruttamento del petrolio di Opl 245, ma in modalità “no cost”, senza costi; mentre nell’accordo del 2011 il rientro (“back-in rights”) era previsto a condizione che la Nigeria pagasse (scalandola dalle entrate da estrazione) la quota parte (dunque metà) del miliardo versato da Eni e Shell per Opl 245 e anche delle ingenti spese sostenute dalle compagnie per la ricerca e la trivellazione. Nel 2019 lo Stato nigeriano cessa comunque ogni interlocuzione con Eni e decide di aspettare l’esito del processo milanese. La licenza Opl 245 scadrà a breve, nel maggio 2021.
In questi ultimi fuochi prima della sentenza, il Foglio è ancora meglio ispirato: ipotizza addirittura un contrasto tra Biden e la Procura di Milano: “Fossimo in Netflix, avremmo già acquisito i diritti per una serie tv: chi vincerà tra Joe Biden e la Procura di Milano?”. Il nuovo presidente Usa ha infatti appena propiziato la nomina ai vertici dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), come direttore generale, di Ngozi Okonjo-Iweala, esperta in economia dello sviluppo con esperienze alla Banca mondiale. Ebbene: Okonjo-Iweala è stata ministro delle Finanze della Nigeria, scrive il Foglio, proprio mentre arrivavano nel Paese africano i soldi che la Procura di Milano considera la maxitangente Opl 245.
Anche Biden smentisce dunque De Pasquale e Spadaro? Ma attenzione: non tornano le date. Ngozi Okonjo-Iweala, mai indagata dai pm milanesi, arriva al ministero il 17 agosto 2011. È il suo predecessore a ordinare tutte le operazioni per trasferire i soldi (1,092 miliardi di dollari) che Eni aveva depositato presso un conto londinese JpMorgan del governo nigeriano e che sono poi dirottati verso due conti in Nigeria (presso la First Bank of Nigeria e presso Keystone Bank) della società Malabu, riferibile all’ex ministro del petrolio Dan Etete. Okonjo-Iweala arriva a cose fatte: il suo predecessore, Olusegun Aganga, dispone in tutta fretta il trasferimento dell’ultima tranche dei soldi Eni il 16 agosto 2011, ultimo giorno del suo mandato. Il denaro viene poi accreditato sul conto Malabu il 24 agosto, ma solo per motivi contabili. Sarebbe stato semplice verificare date e fatti. Ma c’è chi alla dura realtà preferisce le suggestioni e le sceneggiature Netflix.