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 2021  marzo 02 Martedì calendario

Su L’era della suscettibilità di Guia Soncini

In un libro ilare e feroce (L’era della suscettibilità, Marsilio), Guia Soncini fornisce una casistica implacabile, e per niente rassicurante, di quella che potremmo chiamare: illegittima difesa. Si tratta delle reazioni parossistiche, a volte di tipo violentemente censorio, che accolgono gli urti, volontari o involontari, che il discorso umano, e l’agire umano, producono nel loro farsi.
Alcune di queste reazioni sono così smodate, assurde, fuori contesto, in una sola parola stupide, da mettere a rischio l’intera impalcatura del politically correct. Soprattutto nella sua applicazione americana la lodevole intenzione originale, che era evitare l’uso di espressioni che possano offendere specifici gruppi umani (esempi tipici “muso giallo” per definire un asiatico, o “pellerossa” un nativo americano), minaccia di generare, anzi ha già generato, una sorta di nuovo maccartismo.Se un ebreo chiede la cancellazione di una svastica da un muro non esiste alcuno, a parte il nazista che ha tracciato la svastica, che non sia in grado di capire l’enormità dell’offesa e la piena legittimità della reazione (così condivisibile che anche il non ebreo ne è pienamente partecipe). Ma se un gruppo organizzato, sui social, chiede di far precedere ogni immagine di cibo da un trigger warning (avviso di possibile trauma) perché una persona anoressica potrebbe rimanerne turbata, ci si sente disorientati e impotenti: perché è evidente che, lungo quella strada, non una parola, non un gesto, non un libro, non un film può scampare a qualche forma di trigger warning. Scrive Soncini: «Quante cose ci stiamo perdendo? Quanti romanzi, quante canzoni, quanti film vengono lasciati tra le idee incompiute perché l’autore poi non vuole passare le giornate a chiarire equivoci?... In Europa il diritto della folla inferocita a farti licenziare non è ancora ufficialmente riconosciuto. In America, dove pubblicare l’editoriale sbagliato o anche solo il tweet disdicevole può costarti una carriera, ci vanno assai più cauti».
Tra le possibili obiezioni al libro di Soncini, la più solida è che a stabilire la gravità dell’offesa non può che essere chi la subisce. Vale per le molestie sessuali, per le discriminazioni razziali e di classe (di queste ultime, per altro, si parla molto meno, ultimamente…), per ogni livido fisico, e psicologico, che le persone portano dentro. Verissimo. Ma se la capacità di elaborare l’offesa, ogni offesa, anche la più veniale e preterintenzionale, e perfino una non-offesa, diventa pari a zero, come è possibile gestire (sui social, nei media, nella vita politica, nella vita lavorativa) una socialità che si riduca a una mera somma di recriminazioni?
L’era della suscettibilità (che Fruttero& Lucentini, giustamente citati da Soncini, avrebbero definito l’era della lagna) pone un gigantesco problema di rimessa in scala delle offese. Il mio cerotto non può avere lo stesso peso della tua amputazione, il tuo inciampo non può valere quanto la mia tragedia, alcune offese non possono essere metabolizzate ma la maggior parte, per fortuna, sì: altrimenti la scena d’insieme diventa un immenso collage di cicatrici, una smisurata rissa tra parti lese divise in categorie, ciascuna delle quali rivendica a se stessa il primato della vulnerabilità. E il classico rimedio peggiore del male è invocare, per sedare la rissa, una sterilizzazione dei linguaggi e dei comportanti, una sbianchettatura di ogni parola potenzialmente equivocabile, una piallatura di ogni spigolo, infine una gigantesca autocensura, con il senso di colpa che sventola le sue bandiere sul torrione più alto della Polis.
È un gran problema, e ci siamo in mezzo. Il libro di Soncini ha il merito di sollevarlo senza temere la parzialità della tesi, che peraltro a suo supporto ha montagne di documentazione, nonché una caustica capacità critica («Tutto, nel telefilm This Is Us, è trauma gravissimo. Essere grassi. Lasciarsi. Avere un neonato che piange. Non sentirsi dire “bravo” al lavoro. Aver avuto un fidanzatino stronzo al liceo, venticinque anni prima»).A chi volesse approfondire la questione suggerisco altri due libri usciti in sincronia con questo, a conferma che il tema è caldissimo. Uno è Offendersi del saggista Remo Bassetti (Bollati Boringhieri), sulla proliferazione sociale del sentimento dell’offesa; l’altro, secondo me preziosissimo, è La società senza dolore del filosofo tedesco- coreano Byung-Chul Han, a proposito del rifiuto della fragilità come vero segno dei tempi.