il Giornale, 1 marzo 2021
Ritratto di Erminio Bercarich
Non c’è fine peggiore per un calciatore di rimanere solo, dimenticato, addirittura compatito, ma questa è un’altra storia, iniziata nel terrore delle foibe e chiusa miseramente, eppure vissuta da leone, da Stella del Sud.
Istria nel Quaranta, Josip Broz Tito le spaccia per dovute ritorsioni, le prime pulizie etniche le hanno fatte gli ustascia croati con l’esercito tedesco e i fascisti. Per il maresciallo è solo una sprimacciata, una sbattuta e scossa del cuscino per rimetterlo in sesto, quei 500mila jugoslavi al di là della linea Wilson si ritrovano a vivere in suolo straniero, e allora in marcia verso i territori giuliani con i partigiani che sparano a qualunque cosa si muova, se sono italiani meglio, militari, civili, donne, bambini, anziani, e poi dentro a quelle caverne verticali uno sopra l’altro. Un massacro durato quasi quattro anni, mai accertato il numero esatto delle vittime, forse diecimila, ad oggi rinvenute più di 1.700 foibe, chi può scappa e qualcuno ci riesce, calciatori compresi, Erminio Bercarich uno di questi.
Istriano, nato nel ’23 nell’italianissima Valdarsa, fa il centravanti nell’Eneo, poi nel Littorio, è alto, grosso, già quasi completamente calvo, gioca nel campionato della Sezione Propaganda del Direttorio Locale di Fiume e successivamente in Prima divisione Venezia Giulia, ma per poco, un paio di stagioni. Quando l’Italia firma l’armistizio scoppia il caos, Trieste e l’Istria vengono occupate, chi abita in quelle zone deve fuggire, chi si ribella finisce in buca. In tutta Italia vengono allestiti campi profughi, ci sono circa 200mila rifugiati, uno è a Reggio Calabria, la famiglia Bercarich ci arriva nel ’45 e Erminio viene tesserato subito dalla Reggina. Qui ci sono altri calciatori fiumani in maglia amaranto scampati miracolosamente con le proprie famiglie alle persecuzioni, alle deportazioni e alle voragini carsiche, Francesco Bercich, Gino Guardassanich, di altri si sono perse le tracce, finiti nell’oblio perché giocare a calcio è un sogno fantastico, però trovato un lavoro finisce tutto lì. Ma è Erminio Bercarich il fenomeno, quello che non molla e segna di destro e sinistro, tira zuccate che sono sassate, lo pagano a gol, ne fa 66 in 80 partite, costa troppo, lo cedono al Venezia in serie A. La sua carriera un girovagare, con i veneti gioca 14 partite di campionato e segna 4 gol, pochi, troppo pochi per le attese, è ritenuto inadatto per certi livelli e torna in serie C nel Prato dove riprende a segnare a raffica, 27 gol in 29 presenze, ma allora? Nel ’51 lo acquista il Cagliari che ha grandi ambizioni e cerca un attaccante che sbatta giù le difese, le terrorizzi, è sempre serie C ma Bercarich è uno spettacolo, 30 gol in 36 presenze, promozione in serie B con il rito del compenso per ogni rete che prosegue, anzi viene aggiornato. Il presidente del Cagliari Domenico Loi paga subito, Bercarich segna e prima ancora dell’abbraccio dei compagni si dirige verso la panchina dove riscuote, si infila le 5mila lire dentro i calzettoni e poi si concede. Ma ha una testa tutta sua, fuma come un camino, alcol a caraffe, trascorre più ore al tavolo da poker che in campo, agli allenamenti si presenta un giorno si e due no, lo marcano a uomo e si appostano davanti casa, lui non rientra mai prima dell’alba, occhio spento, camminata lungo il muro. Un bel giorno l’allenatore Federico Allasio lo affronta deciso a fargli cambiare vita, un disastro, litigano, via dall’isola. Ci riprova il Legnano, ancora serie A, prima stagione senza squilli, retrocede, neanche titolare, gioca 12 incontri, fa 4 gol e lo spediscono in quarta divisione al Chinotto Neri a Torpignattara, poi al Carbosarda in C dove ha l’ultimo sussulto, 25 reti in 45 gare. Ma è il momento della resa dei conti, gli anni di eccessi si pagano, e lui li paga pesante. Diventa un inutile, prima di diventare anche un fastidio gli amici e i club sardi, dove torna dopo una brave parentesi ancora alla Reggina, gli trovano un lavoro come elettricista, ma non funziona, allora organizzano raccolte di denaro per dargli una mano, soldi non ne ha più, gli sono scivolati fra le mani ai tavoli da gioco, cammina sui cocci di bottiglie che si è succhiato di fretta, si ammala di cirrosi epatica, sta sempre peggio, girovaga con i senza tetto. Gli trovano un lavoro al Sant’Elia come custode dello stadio, niente. Maledizione, questo è stato un mito! A Reggio e Cagliari ha stordito con le sue giocate due fra le tifoserie più calde, lo chiamavano la Stella del Sud, il suo controllo di palla, la sua velocità e le sue finte facevano parlare giorni interi nei circoli, centravanti moderno, non faceva salire la squadra, prendeva la palla, segnava e faceva salire la temperatura sui gradoni degli stadi, ancora oggi primatista assoluto di reti realizzate nella storia della Reggina, 71 complessive, e a Cagliari ha avuto una media gol superiore anche a quella di Gigi Riva.
Eppure è finito senza un’anima attorno, schivato, in un lettino con le pareti sberciate di un ospedale romano con il fegato spappolato.
Poi il ricordo di quei bravi ragazzi in maglia amaranto sfuggiti all’olocausto ha preso il sopravvento, al fiumano Gino Guardassanich, portiere anche della Fiorentina e poi degli Stati Uniti convocato nel mondiale del ’50, nel quartiere di Sussak presso lo stadio dell’Orjent in Croazia, lo ricorda una statua. E in un sussulto di nostalgia mista a pentimento, l’Amministrazione comunale di Reggio Calabria nell’ambito di una rivisitazione toponomastica di strade adiacenti lo stadio Granillo, ha emanato un apposito decreto di intitolazione di una via al suo bomber amaranto che ha lasciato la terra a poco più di sessant’anni. I loro nomi non li trovi neppure nel Dizionario del calcio italiano e oggi a Reggio se chiedi di Bercarich ti indicano una via.