il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2021
La chiesa al tempo delle dimissioni
Era il 28 febbraio del 2013, di giovedì. Esattamente otto anni fa. L’Italia era senza governo dopo le elezioni politiche – l’allora leader del Pd, Bersani, si stava incartando in una trattativa impossibile con il M5S – e la bandiera gialla e bianca del Vaticano, quella sera, venne ammainata sul pennone del Palazzo Apostolico. Sede vacante. Per la rinuncia di un pontefice, dopo quasi otto secoli.
Benedetto XVI si congedò dai cardinali e dalla folla in piazza san Pietro a distanza di 18 giorni dal clamoroso annuncio dato l’11 febbraio. Andò in elicottero a Castel Gandolfo, nella residenza papale vicino a Roma. Successivamente si ritirò in un monastero all’interno dei Giardini Vaticani. Le sue ultime parole ai cardinali furono: “Tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza”.
Fu questo l’incipit dell’inedita èra della Chiesa dei due papi. Il regnante Francesco, eletto il 13 marzo nel conclave. L’emerito Ratzinger, sempre vestito di bianco e ancora appellato come Sua Santità. La coabitazione in questi otto anni è stata spesso problematica. Ché il teutonico Ratzinger ha continuato a parlare o scrivere, non sempre in sintonia con l’argentino Bergoglio, ma soprattutto perché Benedetto è diventato (contro la sua stessa volontà) il riferimento dei clericali di destra che considerano Francesco un eretico, da vari cardinali per finire al leghista Salvini. Ed è per questo che la convivenza tra due pontefici si è posta pure come una questione da definire giuridicamente, visto che l’attuale diritto canonico non la contempla. Un rebus tornato d’attualità in questi giorni. E non solo per l’ottavo anniversario ratzingeriano.
È stato lo stesso Francesco a dire in un’intervista che “immagina” la sua morte da “papa in carica o emerito”. Specificando: “a Roma”, perché “non tornerò in Argentina”. Si tratta di un colloquio che risale al 16 febbraio 2019 per un libro sulla salute dei papi di Nelson Castro, medico e giornalista. La conversazione è stata pubblicata dal quotidiano argentino La Nación. Non è la prima volta che papa Bergoglio, 84 anni compiuti nel dicembre scorso, parla di rinuncia, in caso di malattia grave oppure di declino fisico e mentale dovuto all’età. L’ipotesi di un Bergoglio papa emerito resta però remota al momento. Almeno finché l’emerito Raztinzer, 94 anni il prossimo aprile, è in vita. Cinico dirlo, ma è così. Altrimenti non si dovrebbe escludere una Roma con tre papi, uno regnante e due emeriti. Uno scenario davvero surreale.
In ogni caso, la coabitazione esistente tra i due papi è anche un freno all’introduzione di regole canoniche per l’emerito. Se infatti dovesse passare la linea dura propugnata per esempio dal cardinale Pell, si potrà mai costringere Benedetto XVI a rivestire l’abito rosso porpora dei cardinali e a rinunciare al titolo di Sua Santità? Per il prelato australiano – riabilitato dopo essere stato assolto per pedofilia – l’emerito dovrebbe essere infatti reinserito nel collegio dei cardinali, senza fare più dichiarazioni pubbliche. Ma tocca a Francesco colmare questa lacuna legis. Come lo farà? E soprattutto quando?