la Repubblica, 1 marzo 2021
Così a Lanuvio gli Alleati ci liberarono
Tra le villette di Lanuvio, cittadina alle pendici dei Castelli Romani, oggi l’asfalto rende impossibile riconoscere un torrente che le vecchie mappe militari indicano come Pastroela. Ma per superare quel fosso nel maggio 1944 i soldati americani hanno dovuto combattere per giorni, inchiodati nel fango dalle raffiche delle mitragliatrici tedesche: «Tutti lo chiameranno sempre il Burrone di sangue…». Talvolta si tende a ridimensionare la campagna condotta dagli Alleati per liberare l’Italia, come se fosse stata una cavalcata vittoriosa dalla Sicilia alle Alpi. Invece è stata una lotta senza tregua, in cui la potenza di fuoco di artiglieria e bombardieri non riusciva ad avere ragione dell’ostinazione tedesca. «No easy day»: un calvario corpo a corpo proseguito per 602 giorni.
A ricordare il sacrificio delle truppe statunitensi adesso arriva la grande opera di un piccolo editore, Pensa MultiMedia, che ha raccolto nel cofanetto La liberazione alleata d’Italia gli undici volumi realizzati da Gianni Donno, ex professore di storia contemporanea all’università del Salento. Grazie alle riproduzioni originali dei diari di reparto e della rivista della Quinta Armata, con un fitto corredo di mappe e immagini, ricostruiscono operazioni celebri ed episodi meno noti della guerra contro le forze nazifasciste. Come la battaglia di Lanuvio, l’ultimo bastione per la conquista di Roma.
Il feldmaresciallo Kesserling aveva concentrato lì parà e panzer della divisione “Herman Goering”, trasformando i casali in roccaforti, i rigagnoli in trappole letali. Il loro caposaldo era Villa Crocetta: trentamila proiettili di cannone l’hanno demolita, senza spegnere la resistenza. Dal 27 maggio 1944 tre reggimenti della 34ma divisione statunitense, i “Red Bull”, uno dopo l’altro si lanciano verso Lanuvio ma non avanzano di un metro. Il 29 maggio per cinque volte vanno all’assalto dei ruderi di villa Crocetta, scortati dai tank. Ogni successo viene neutralizzato dai contrattacchi, con i parà tedeschi che spuntano alle spalle. I diari di guerra pubblicati da Gianni Donno registrano come un singolo ufficiale americano riesca a capovolgere la situazione: si infila tra le linee e cammina fino a una collina con una radio sulle spalle. Da lì può vedere i semoventi mimetizzati, le mitragliatrici nelle cantine, le grotte dove sono nascoste le micidiali Flak: per due ore dirige con precisione il tiro dei mortai, poi i cecchini lo scoprono.
A mezzanotte, sessanta incursori dell’unità rattlesnake — “serpenti a sonagli” – sono pronti all’ultimo affondo contro Villa Crocetta. Ma trovano il caposaldo deserto. I tedeschi sono arretrati di soli due chilometri, asserragliati dietro la ferrovia. Alla mattina la battaglia si riaccende, per il quinto giorno: la resistenza è feroce e il comando Usa stende una cortina di fumo, che però intrappola i fanti sotto il “fuoco amico” dei cannoni. Bisogna fermare ancora l’offensiva. Una scelta fortunata, perché rischiavano di cadere in un’imboscata. Li avverte un contadino che attraversa il fronte: «Ci sono trecento tedeschi appostati su una collina». Tre batterie di obici trasformano la cima in un inferno: «Li abbiamo decimati, la mattina dopo quel terreno era pieno di cadaveri».
Si riparte a mezzanotte, ma pure stavolta i tedeschi hanno ripiegato: li lasciano avanzare fino alle case di Lanuvio. Pochi chilometri più in là, il 135mo reggimento invece è alle prese con una situazione drammatica. Dopo avere varcato il “Burrone di sangue”, i soldati sono entrati in una vallata dove un 88 millimetri fa strage dei loro tank. I parà tedeschi sfruttano il momento e penetrano dietro le linee, bersagliando persino il comando: tra gli americani c’è il panico. Anche il plotone L deve ritirarsi di corsa. Ma il soldato Furman Smith torna indietro e trascina due compagni feriti in una buca. «Poi si butta in un altro cratere e da solo continua a sparare contro ottanta tedeschi che avanzano: vuole distrarre l’attenzione dai due commilitoni feriti. Gli ufficiali seguono la scena con i binocoli: osservano lo stupore dei tedeschi davanti al coraggio di un solo uomo, che esplode un caricatore dietro l’altro». Il giorno dopo lo troveranno senza vita, con ancora il dito sul grilletto: aveva diciannove anni ed è stato premiato con la Medal of Honor, la più importante onorificenza americana. «L’atto di eroismo rinfrancò le truppe, che si ripresero e respinsero il nemico».
Il fronte germanico cede solo il 4 giugno, dopo una settimana di combattimenti: la via per Roma è aperta e le jeep del 135mo entrano per prime nella Città Eterna. Ma il reggimento del soldato Smith per superare Lanuvio ha perso 476 uomini. La lotta proseguirà per altri undici mesi, con i tedeschi determinati a resistere, contrattaccare e ripiegare di pochi chilometri. Sempre, fino al giorno della resa. Per questo la campagna d’Italia è costata alla Quinta Armata 109.642 tra morti e feriti. Ed è anche dal loro sacrificio che è nata la nostra democrazia.