Specchio, 28 febbraio 2021
QQAN10 Intervista a Nemat Talaat Shafik
QQAN10
Nemat Talaat Shafik, baronessa Shafik Dama dell’ordine dell’impero britannico, nota come Minouche Shafik, è un’economista britannico-americana di origine egiziana che è stata vicegovernatore della Banca d’Inghilterra dall’agosto 2014 al febbraio 2017 e dal settembre 2017 è direttore della London School of Economics. Ha appena pubblicato What We Owe Each Other: A New Social Contract con Penguin, Random House. Sarà pubblicato in italiano da Mondadori a maggio.
A che contratto sociale si riferisce?
«Alle regole che governano il modo in cui viviamo. Comprende come dividiamo gli impegni nelle nostre case, cosa ci aspettiamo dai datori di lavoro, come ci prendiamo cura degli anziani. Nelle società tradizionali queste funzioni vengono svolte di più dalle famiglie e dalle comunità. Nelle società più moderne il mercato e lo Stato giocano un ruolo più incisivo».
Perché deve cambiare?
«Non funziona, per diversi motivi. Uno è il ruolo mutevole delle donne. Il contratto sociale è stato costruito per società in cui queste accudiscono giovani e anziani, ma ora sono sempre più coinvolte nel mondo del lavoro e dunque l’impegno di cura diventa più difficile. Un altro è come la tecnologia ha rivoluzionato il lavoro, le persone ora ne cambiano molti nel corso della vita. Poi l’invecchiamento... La vita lavorativa è molto lunga e ci si chiede come prendersi cura e sostenere le persone in età avanzata. Il mio libro è stato in parte ispirato da William Beveridge, precedente direttore della London School of Economics, che ha scritto il Rapporto Beveridge del 1942 ridefinendo lo stato sociale nel Regno Unito, dalla culla alla tomba».
Ci vuole un nuovo paradigma per lavoro, bambini, istruzione, salute, e vecchiaia?
«Prendiamo ad esempio l’istruzione. La maggior parte dei Paesi investe di più nella scuola primaria e secondaria, ma ora dobbiamo investire nella preparazione, nell’università e nella specializzazione. Perché è lì che possiamo cogliere le opportunità esistenti e collegarle ai lavori, quindi richiederanno abilità cognitive e decisionali più elevate. Questa abilità viene sviluppata dai tre anni di vita, quindi se non investi di più in quel periodo non stai preparando le persone ai lavori del futuro. E sappiamo anche che le carriere saranno molto lunghe. Se si lavorerà per 60 anni ci sarà bisogno di riqualificarsi e riorganizzarsi molte volte nel corso della vita professionale. Nell’istruzione, un nuovo contratto sociale significa investire di più nei primi anni fornendo gli strumenti per tornare a scuola più tardi nella vita e più spesso».
Lei viveva in Egitto e poi all’improvviso si è dovuta trasferire negli Usa. È vero che suo padre diceva che possono portarti via tutto tranne l’istruzione?
«L’istruzione è un mio punto fermo».
Per questo cita Abraham Lincoln dicendo che «il modo migliore per predire il tuo futuro è crearlo»?
«Vale sia per i Paesi, sia per gli individui. Ogni società dovrebbe dare a tutti uno standard minimo per un’esistenza dignitosa, che varierà a seconda di quanto è ricca. Ci dobbiamo di più l’un l’altro. Investiamo troppo poco negli altri. Molte persone di valore non hanno mai l’opportunità di contribuire alla società. Occorre creare una società in cui tutti questi talenti possano prosperare. Cerco di descrivere un contratto sociale che consenta di crescere, che sia giusto ed economicamente razionale. Avrà un impatto enorme sulla produttività delle economie avanzate in lotta con una bassa produttività».
L’intelligenza artificiale eliminerà alcuni posti di lavoro?
«Sì, ma ne verranno creati dei nuovi. Dobbiamo preparare le persone con quelle capacità di problem solving che il mercato apprezza. Hanno fatto centinaia di studi per aiutare i lavoratori a riqualificarsi. Alcuni funzionano, altri no. Ma collaborando con i datori di lavoro per aiutare le persone a sviluppare le loro competenze offrendo coaching, queste otterranno un guadagno molto alto. La Svezia ha un ottimo programma: prevede che un anno prima di perdere il lavoro, si abbia diritto a un istruttore di supporto per sviluppare i talenti necessari a trovare una nuova occupazione. Ti forniscono la formazione e il 70% delle persone ne esce con un nuovo lavoro, più remunerativo. Occorrono circa diecimila ore per apprendere una nuova carriera. E con vite così lunghe è possibile farlo molte volte. La pensione è una creazione del XX secolo. Prima la gente lavorava, poi moriva. Oggi il problema è che non risparmi abbastanza per trascorrere un terzo della tua esistenza in pensione. Dovremmo lavorare più a lungo per pagarci le cure della vecchiaia».
La pandemia ha creato molta rabbia e paura...
«È un momento di grandi opportunità, per la pandemia hanno sofferto di più i poveri, le minoranze, le donne e i precari. E ci siamo resi conto che non avremmo potuto vivere senza droghieri, guardie di sicurezza e operatori sanitari. Banchieri e avvocati potevano stare a casa. Ora capiamo quanto siamo dipendenti da certe persone e ci dobbiamo sostenere di più a vicenda».
Come ne usciremo?
«Possiamo aiutare le nostre economie e società ad adattarsi alla realtà del XXI secolo. In molti Paesi il governo ha pagato i salari dei lavoratori di aziende che hanno dovuto chiudere a causa della pandemia, ma si potrebbe invece pagare la loro formazione per un nuovo impiego. Se lavoro in un negozio - e sappiamo che tutti comprano online e non ci saranno più tante botteghe al dettaglio - forse potrei prendere il mio sussidio salariale e lavorare per facilitare la fornitura di prodotti digitali o per qualche altro settore in crescita. In Italia ci saranno finanziamenti europei che sosterranno l’economia, potremmo usarli per aiutare l’economia del futuro».
Le persone sono pronte a cambiare?
«Tutti sono stanchi e provati. Ma quando le nostre economie si riapriranno ci sarà il desiderio di tornare a lavorare, e se le persone sapranno di essere sostenute durante la transizione, l’accoglieranno. Se saranno lasciate sole - e le nostre società sono troppo orientate in questo senso - il rischio di reazioni politiche è enorme» .
Crede che ci sarà un nuovo contratto sociale?
«Alcuni Paesi saranno così coraggiosi da farlo, altri li seguiranno».
La preoccupa che l’Inghilterra sia fuori dall’Ue?
«Regno Unito e Europa hanno una lunga storia e molti più interessi condivisi che differenze. Ma si vedrà nel lungo periodo».