Specchio, 28 febbraio 2021
La lunga marcia delle "commoners"
Di non nobili origini. Le nuove regine e quelle che saranno vengono dal mondo «reale», niente sangue blu e blasone nel loro curriculum. Cenerentole moderne che hanno incontrato principi decisi a scegliersi il destino in amore senza vincoli dinastici. Per arrivare all’altare molti di loro hanno dovuto sfidare governi e soprattutto genitori. A iniziare da Felipe di Spagna, oggi re, all’epoca principe delle Asturie, che scelse la giornalista Letizia Ortiz, regina consorte, non solo borghese ma anche divorziata. In un «regno» che all’epoca vacillava nelle simpatie del popolo, la rinuncia al trono di Felipe sarebbe stata la fine. E così papà Juan Carlos e mamma Sofia hanno ceduto, seppure controvoglia, alle nozze, celebrate il 22 maggio del 2004 nella cattedrale della Almudena a Madrid. Scontentando le voci più conservatrici della monarchia, come quella di Don Josè Luis de Villalonga, Grande di Spagna, che su «Abc», quotidiano di stretta fede monarchica, tuonò: «Un matrimonio inopportuno mi farebbe pensare alla possibilità di una Repubblica». «Mi risparmierei così il dovere di inchinarmi a una regina sbagliata».
Ma l’aria di ribellione nelle corti d’Europa era ormai diventata un tornado, con principi e principesse decisi a scegliersi la compagna/o senza intromissioni. Complice, forse, anche la storia di Carlo e Diana, un legame deciso da altri e finito in tragedia. Così nelle corti si è imposto un «liberi tutti» all’avanzare di aspiranti principesse e regine senza un goccio di sangue blu. Caso da manuale quello di Kate Middleton, bella e ambiziosa ragazza borghese destinata a salire sul trono britannico insieme a William, secondo in linea di successione dopo il padre Carlo. Oggi ci si interroga se a Diana sarebbe piaciuta questa nuora così compassata, algida, perfetta. Così diversa da lei. In molti pensano che le preferenze della principessa del Galles sarebbero andate alla «resistente» Meghan, anche lei commoner, moglie del secondogenito Harry con cui ha deciso di abbandonare al loro destino i reali parenti Windsor.
Nella famiglia reale britannica ormai la vera notizia sarebbe quella di un matrimonio tra «pari», perché nessun nipote sembra voler dare una gioia alla nonna/regina. Anche le figlie di Andrea d’Inghilterra, duca di York, hanno scelto «borghesi». Jack Brookbanks è il marito della principessa Eugenia, commercialista con un passato da barman. Mentre l’italiano Edoardo Mapelli Mozzi, imprenditore immobiliare, ha portato all’altare la principessa Beatrice.
La resistenza alla carica delle Cenerentole è sempre andata male ai reali genitori. Chi veramente è arrivato a un passo dall’abbandonare il suo posto nella linea dinastica è stato Haakon Magnus di Norvegia, «ribelle» alle tradizioni che il 25 agosto del 2001 ha portato all’altare Mette Marit, una ragazza con un figlio di tre anni il cui ex marito era stato implicato in una questione di droga. Niente hanno potuto i conservatori dell’ordine costituito contro la forza della «favola» (e si dice che Felipe di Spagna sia stato convinto dall’amico a imporsi con i genitori).
Ogni volta che un principe ha scelto una commoner è stato un tripudio di consensi popolari. Anche quando la sposa ha portato in dote non solo una nascita borghese ma anche, e soprattutto, parenti complicati. Come in Olanda, dove il «problema» non è stato tanto la sposa di Guglielmo (oggi sul trono) l’argentina Maxima Zorreguita (bella e manager in carriera), quanto il padre della sposa, Jorge Zorreguita, che fu ministro dell’Agricoltura nel governo golpista di Videla, alla fine degli Anni ’70, quando la macchina dell’oppressione lavorava senza sosta per annientare le voci democratiche. Un parente imbarazzante che alla fine, per evitare polemiche, è stato pregato di non presentarsi alle nozze reali. In questo caso i conservatori non volevano una futura regina cattolica, mentre laburisti e socialisti trovavano intollerabile un legame della corona dei Paesi Bassi con un uomo implicato in così gravi violazioni dei diritti umani. La regina Beatrice d’Olanda, annunciando il fidanzamento, chiuse la questione: «Le colpe dei padri - ha detto - non devono ricadere sui figli».
Nozze plebee anche per Alberto di Monaco, che ha portato all’altare la nuotatrice sudafricana Charlene. E per Federico di Danimarca innamorato perdutamente della pr australiana Mary Donaldson, conosciuta in un pub durante i giochi olimpici del 2000. Anche per loro l’appoggio del popolo: dopo poche settimane dal fidanzamento, un sondaggio rivelò che a nove danesi su dieci non gliene importava nulla se la loro futura regina era una commoner. Allineata con le decisioni dei suoi «colleghi» maschi la principessa Vittoria di Svezia, futura regina, che ha detto «sì» al suo personal trainer Daniel Westling, nonostante la forte opposizione del padre, il re Carlo Gustavo, preoccupato del «doppio salto mortale carpiato sociale» dell’aspirante genero, considerato un arrampicatore. Ma Vittoria ha usato l’implacabile arma dell’ultimatum: per lui avrebbe rinunciato a quella corona «scippata» al fratello minore Carl Philip, nato erede al trono nel 1979 e poi scalzato dalla sorella dopo la riforma costituzionale entrata in vigore nel 1980 che aboliva la legge salica (in maniera retroattiva). E nozze furono, nel 2010.
Come in Svezia, la legge salica (che preferiva la discendenza maschile al trono anche in caso di figlie primogenite) è stata cancellata in tutte le corti d’Europa. Unico stato a resistere all’eguaglianza di genere è il «minuscolo» ma ricchissimo principato del Liechtenstein, dove il principe Alois ha detto che, mantenendo la successione al maschile, si difende la stabilità del Paese. Si apre così un’era di troni al «femminile». Su quelli di Spagna, Norvegia, Svezia, Belgio e Paesi Bassi, sempre che le rispettive monarchie resistano, siederanno un giorno le principesse Leonor, Ingrid-Alexandra, Estelle, Elisabetta, Catharina Amalia. Il paradosso del tetto di cristallo sfondato nelle polverose stanze di un potere anacronistico.