La Gazzetta dello Sport, 28 febbraio 2021
Cinquecento volte Guardiola
Cinquecento vittorie da allenatore. Un’enormità. Ma ormai con Pep Guardiola i numeri non fanno più notizia: passa da una cifra tonda all’altra in scioltezza. Il giorno dei cinquecento trionfi da manager coincide infatti con i venti successi di fila del Manchester City: il 2-1 sul West Ham, con le firme di due difensori, Ruben Dias e Stones – in mezzo il pareggio di Antonio -, è un inno alla forza morale dei leader della Premier, ora a + 13 sulla concorrenza. Guardiola, un velo di barba e la sua felpa con il logo di Open Arms, elogia lo spirito di sacrificio: «Vincere venti gare consecutive, in una stagione come questa, senza un attimo di sosta, in pieno inverno inglese, con il Covid e infortuni importanti, è forse il più grande risultato che abbiamo ottenuto in questi anni. Bisogna possedere una straordinaria forza mentale per compiere un percorso come questo. Con il West Ham è stata dura, maledettamente dura. Abbiamo sofferto fino all’ultimo secondo perché la stanchezza si comincia a avvertire. Qui non c’è tregua. Martedì il Wolverhampton, poi, il 7 marzo, il derby con lo United».
Pep lo chef
È vero, questo Manchester City, imbattuto da 27 gare, ha una solidità diversa rispetto alle edizioni precedenti. La figura chiave è il difensore portoghese Ruben Dias, contro il West Ham al primo acuto in Premier. Dias ha blindato la retroguardia, permettendo a Pep di riportare Fernandinho a centrocampo: nonostante i 36 anni in arrivo, il brasiliano è un attore fondamentale nel copione del City. L’avvento di Dias ha anche migliorato il partner di reparto, Stones, già tre gol in campionato. Le firme dei due difensori nel 2-1 di ieri ribadiscono l’unicità del calcio di Pep. David Moyes, manager del West Ham, venerdì aveva paragonato Guardiola allo chef londinese Heston Blumenthal, simbolo della cucina creativa: il gelato all’uovo, l’amaretto di barbabietola e un piatto straordinario, Sounds Of the Sea, in cui il commensale ascolta le onde del mare grazie a un congegno nascosto in una conchiglia. Pep sta rosolando la Premier senza centravanti, con i difensori versione amaretto di barbabietola e con i centrocampisti che, come un gelato all’uovo, deliziano il palato. Aguero, tornato ieri titolare dopo mesi segnati da infortuni e dal Covid, è lontano, ovvio, dal suo rendimento migliore. Jesus era fortissimo a 18 anni e si è normalizzato con la crescita. Torres ha steccato e Sterling, provato da settimane senza tregua, ha riposato.
Un’idea in più
Ma il City ha vinto ancora: perché ha il miglior copione di gioco, perché ha sempre un’idea più degli altri e perché ha trovato la strada giusta per coltivare la praticità senza togliere nulla allo spettacolo. I 500 successi ottenuti da Guardiola in panchina dal 2008 a oggi – 179 con il Barcellona, 121 con il Bayern e 200 con il Manchester City -, superando in undici stagioni la percentuale del 70% e solo una volta, nel 2016-2017, scendendo al 66,67%, sono il miglior modo per orientare il dibattito quando si disserta tra “gioco” e “risultato”. Pep ha conquistato 29 trofei, mostrando un calcio spettacolare, cambiando la storia di questo sport, migliorando le carriere di diversi giocatori, aprendo nuove frontiere in alcuni ruoli. Il portiere non è più lo stesso con il calcio di Pep. Il “falso nove” ha arricchito le formule d’attacco. Il possesso per vie orizzontali ha trovato un suo naturale sviluppo per quelle verticali. Di fondo ci sono la passione, la curiosità, l’intelligenza vivace, la maniacalità di un uomo che non si accontenta mai. Cinquecento e non sentirli. Il segreto dello chef è questo.