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 2021  febbraio 28 Domenica calendario

Quadro della crisi libica

Le dichiarazioni di fedeltà alla Nato da parte di Mario Draghi, l’entità dei contatti già avvenuti fra Palazzo Chigi e Casa Bianca, e i messaggi recapitati dal Segretario di Stato Antony Blinken alla Farnesina di Luigi Di Maio descrivono la volontà dei due Paesi di rafforzare e rilanciare il legame di alleanza al fine di consolidare il rapporto fra Usa e Unione Europea davanti alle nuove sfide strategiche. La prima e più difficile di queste è la Libia dove negli ultimi tre anni l’Italia di Giuseppe Conte e l’America di Donald Trump hanno commesso tanti e tali errori da trasformarla in un inedito trampolino della penetrazione strategica – nel Mediterraneo e in Africa – della Russia di Vladimir Putin e della Turchia di Recep Tayyip Erdogan. l continua a pagina 27 segue dalla prima pagina S e la Libia è precipitata nella guerra civile dall’indomani della deposizione nel 2011 del feroce regime di Muammar Gheddafi – che per 42 anni aveva represso ogni libertà interna, fomentato terrorismo all’estero e sviluppato armi di distruzione di massa – la faida fra milizie armate di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan ha avuto una svolta nell’autunno del 2019 quando il governo di Tripoli, guidato da Fayez al Sarraj, assediato dalle forze bengasine di Khalifa Haftar ha chiesto aiuto militare alla Turchia dopo aver ricevuto ripetuti rifiuti da Roma. Da quel momento le truppe di Erdogan si sono insediate a Tripoli – assumendo il controllo di cielo, terra, mare e cyberspace – mentre a Bengasi la vasta coalizione pro-Haftar cadeva nelle mani di Putin e dei suoi agguerriti mercenari della Brigata Wagner. Il tutto sotto gli occhi della Francia, che aveva creduto di poter condizionare Haftar, e nell’immobilismo dell’amministrazione Trump che ha lasciato fare con l’unica eccezione di singoli interventi anti-terrorismo contro i gruppi jihadisti che continuano ad operare nel deserto libico. Insomma, la scelta di Conte di non accogliere gli appelli disperati di al-Sarraj e la strategia di Trump di ignorare la Libia hanno consentito a Turchia e Russia di spartirsi questo Paese, al momento diviso da una trincea scavata nel deserto dai mercenari russi per sancire l’ipoteca del Cremlino sulla Cirenaica e lasciando ad Ankara la Tripolitania. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, ben note ai comandi Nato: Mosca controlla basi aeree nel deserto a Jufra e scali navali a Bengasi con tanto di sistemi anti-missile che li rendono impenetrabili mentre Ankara controlla i rubinetti dell’energia e dei migranti da cui dipende la sicurezza italiana. Se a ciò aggiungiamo la scelta di Ankara di schierare in Tripolitania almeno duemila volontari sunniti veterani della guerra siriana e la volontà di Mosca di creare un corridoio terrestre da Bengasi fino al Sahel per insediarsi nel cuore dell’Africa non è difficile dedurre che per il fronte Sud della Nato la Libia è la più pericolosa spina nel fianco. Da qui l’importanza delle prime mosse dell’amministrazione Biden che pochi giorni dopo l’insediamento ha affidato a Richard Mills, capo missione alle Nazioni Unite, la richiesta a «Russia e Turchia» di «rispettare la sovranità della Libia e cessare immediatamente ogni intervento militare». L’ambasciatore Mills è intervenuto durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu specificando che Mosca e Ankara devono «iniziare a ritirare le truppe, i mercenari stranieri e i delegati militari che hanno reclutato, finanziato e schierato in Libia». E ha incluso nella richiesta anche gli Emirati Arabi Uniti, secondo alleato più importante di Haftar. Il passo della Casa Bianca lascia intendere che il presidente Biden intende «far tornare l’America protagonista» ovunque Trump ha esitato o arretrato: dalla Crimea allo Yemen, dagli Stretti di Taiwan fino alla Libia. Da qui l’opportunità per l’Italia, di guidare l’Ue a ripartire dalla decisione della Conferenza di Berlino – del gennaio 2020 – per far cessare il fuoco, finire le ingerenze militari e la riconciliazione nazionale, agendo in maniera convergente con Washington. Tanto più che Berlino appare sulla stessa linea, come si evince dalle parole pronunciate dalla cancelliera Angela Merkel alla conferenza sulla sicurezza di Monaco: «La Libia rischia di diventare il giocattolo di poteri stranieri che non hanno a cuore gli interessi del popolo libico». Quanto sta avvenendo sul terreno, con la recente presentazione da parte del premier designato Abdulhamid al-Dabaiba di un governo di unità nazionale – espressione di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan – da far approvare al Parlamento entro tre settimane, è un primo timido passo verso le elezioni previste dall’Onu per dicembre. Ma questo vulnerabile processo intra-libico per avere successo ha bisogno di innescare qualcosa assai di più vasto e decisivo: un impegno congiunto di Usa e Ue per favorire la riunificazione nazionale libica allontanando da Tripoli e Bengasi quelle potenze straniere che sono lì all’unico fine di creare proprie sfere di influenza in Africa e nel Mediterraneo. Tanto più che l’emergenza Covid 19 impone più coordinamento internazionale – ad esempio attraverso la Banca mondiale – per aiutare i Paesi in evidente difficoltà nella sfida al virus. Ma non è tutto: se per Biden spegnere l’incendio libico rientra in una ritrovata volontà di fronteggiare l’aggressività di Putin nello scacchiere del Mediterraneo, per Draghi implica la possibilità di contribuire anche a stabilizzare il Paese da dove riceviamo la maggioranza dei migranti e una quantità vitale di forniture energetiche. La recente tragedia del barcone rovesciato a largo di Lampedusa come i frequenti interventi di salvataggio delle unità della Mezzaluna Rossa nel Mediterraneo, sommati all’aumento di arrivi sulle nostre coste, lasciano intendere quanto le rotte del traffico illegale di esseri umani si siano riaperte, mettendo Roma nell’insolita posizione di dover trattare non solo con le milizie di Tripoli ma anche con la Marina di Ankara. C’è dunque una evidente sovrapposizione fra sicurezza Nato ed interesse nazionale italiano nel riprendere le redini della crisi libica. Anche se riuscirci metterà a dura prova Mario Draghi.