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 2021  febbraio 27 Sabato calendario

Intervista a Zakia Seddiki, moglie di Attanasio

«Chiedo di rispettare Luca», dice in questa intervista Zakia Seddiki, la moglie dell’ambasciatore Luca Attanasio ucciso lunedì scorso nella Repubblica Democratica del Congo. Di origini marocchine, fondatrice e presidente dell’organizzazione di volontari «Mama Sofia» che aiuta bambini e donne in difficoltà, parla come si esprime una persona gentile. Ferita nei sentimenti, ma che il dolore non trascina via da una natura garbata.
Da lunedì scorso Zakia Seddiki sta attraversando giorni che hanno il peso di anni. Meno di una settimana fa la notizia dell’agguato al marito nel Nord Est del Paese africano, le incognite sul perché siano stati colpiti a morte con armi il suo uomo, il carabiniere Vittorio Iacovacci che lo accompagnava e l’autista Mustapha Milambo. Martedì un volo notturno in aereo da Kinshasa per Roma. Mercoledì la camera mortuaria. Giovedì i funerali di Stato, poi partenza per la Lombardia nella quale verrà sepolto l’ambasciatore. Improvvisa notorietà non cercata. Un affetto strappato.
Che cosa sapeva del viaggio di suo marito nella zona di Goma, quasi 2.500 chilometri di distanza dall’ambasciata d’Italia a Kinshasa?
«Luca è stato invitato dal Programma alimentare mondiale per una visita su un progetto del Pam per le scuole. Era previsto che organizzassero tutto loro. Ha domandato: “Chi si occupa della sicurezza e di tutto?”. Hanno risposto: “Ci pensiamo noi alla sicurezza”».
Invece è a Kinshasa che l’ambasciata dispone di due auto blindate. È così?
«Sì, a Kinshasa ci sono scorta e macchine blindate. Per spostarsi, quindi, Luca ha dovuto porre la domanda: chi si occupa della sicurezza? Non è che il Pam sia una piccola organizzazione. Hanno detto ce ne occupiamo noi ed è giusto fidarsi di un’organizzazione così grande, soprattutto parlando di questo».
Nel viaggio Luca Attanasio era scortato soltanto da Iacovacci. In genere in posti come quello della visita si va con giubbotti antiproiettile.
«Sì, ma a Kinshasa abbiamo tutto. E Luca non ha mai fatto un passo fuori dalla residenza o dall’ambasciata senza la sua scorta e senza i controlli della sicurezza. Si è fidato».
Che a occuparsi della sicurezza sarebbe stato il Pam gli era stato comunicato per telefono?
«Sì. E l’ho sentito. Luca non ha mai viaggiato senza pensare alla sicurezza. Anche chi è nella scorta fa il proprio lavoro, contatta il posto, chiede informazioni. Erano sempre attenti. Sono stati respinti altri inviti perché, a fronte della richiesta, non c’erano mezzi per la sicurezza. Questa volta ci siamo fidati, tutti, di un’istituzione come l’Onu».
A quando risale la telefonata con il Pam?
«A subito dopo l’invito. Poi anche prima del viaggio sono state fatte queste domande. Luca di solito le poneva e poi la sua scorta faceva il proprio lavoro».
Ricorda chi era la persona con la quale suo marito parlò al telefono?
«No».
Stando a quanto leggo lei ha dichiarato: «Luca è stato tradito da qualcuno vicino a noi, alla nostra famiglia». A chi si riferiva?
«È stato tradito nel senso che chi ha organizzato sapeva che la sicurezza non era nella misura adeguata per proteggere lui e le persone con lui».
Può sembrare che lei alludesse a una spia.
«Il Pam non ha organizzato la protezione in modo opportuno. Non hanno fatto quello che va fatto per una zona a rischio. Sicuramente dentro il Pam qualcuno sapeva che la scorta non era efficace».
Quindi non c’entra qualcuno vicino alla famiglia?
«No, macché vicino alla nostra famiglia. No».
Lei ha un’idea sul motivo dell’attacco di lunedì all’auto? Se servisse a una rapina, a un rapimento o se era un agguato di tipo politico?
«Non ho modo di saperlo».
Quando ha salutato suo marito?
«Mentre usciva di casa. Prima delle cinque».
Del mattino?
«Sì».
Come descriverebbe Luca Attanasio a chi non lo ha conosciuto?
«Una persona semplice, che ama il prossimo. Motivato. Voleva fare tante cose. E col cuore generoso e grande. Penso che nessuna parola può definire Luca. È unico».
Che cosa aveva portato Luca Attanasio e lei in Congo?
«Lo ha deciso il ministero. Luca è stato chiamato per la sede in Congo. Come uno che lavora per lo Stato, ha sempre detto di sì. Come moglie e madre l’ho seguito».
La Costituzione italiana, articolo 19, riconosce che «tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede». Eppure c’è chi considera ragione di discussione se suo marito si fosse convertito all’Islam o no.
«Tra di noi è andata così: ognuno ha la sua religione, ha la sua identità e l’amore era più forte. Ognuno ha mantenuto la sua identità con rispetto dell’altro. Alle volte non capiamo perché certa gente deve approfittare di momenti così brutti per inventarsi le cose».
Se lo ritiene necessario, vuole aggiungere qualcosa?
«L’Italia è nel cuore. È stato sempre il mio secondo Paese. È il Paese di mio marito, ho tre bimbe con identità italiana. All’Italia sarò sempre grata. Chiedo di rispettare Luca. Rispettiamolo, si rispetti il nostro dolore. Lo dico a chi vuole solo scrivere per scrivere, senza avere informazioni, o cambiare mie parole per dare un altro senso. Chiedo rispetto. Rispetto per una persona che amava il suo Paese».