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 2021  febbraio 27 Sabato calendario

Bin Salman e le sette guardie del corpo coinvolte nell’azione

«Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman approvò l’operazione condotta a Istanbul, in Turchia, il 2 ottobre 2018, al fine di catturare o uccidere» il giornalista Jamal Khashoggi, che lo aveva criticato sul Washington Post. È la conclusione del rapporto di quattro pagine dell’intelligence americana desecretato ieri dall’Amministrazione Biden. Il movente: «Il principe ereditario vedeva Khashoggi come una minaccia per il Regno e appoggiava ampiamente l’uso della violenza se necessario per zittirlo».
Lo scorso 7 settembre, otto agenti sono stati condannati in via definitiva a pene dai 7 ai 20 di reclusione al termine di un lungo processo in Arabia Saudita, in cui la responsabilità dell’assassinio è stata attribuita ai servizi segreti deviati, all’insaputa della corona. I loro nomi non sono stati resi noti. Ma l’intelligence Usa sottolinea che Mohammed bin Salman, detto Mbs, ha un «controllo assoluto sulle operazioni di sicurezza e di intelligence sin dal 2017»: arduo pensare che 15 agenti arrivati con jet del fondo sovrano saudita abbiano ammazzato un giornalista all’interno del consolato all’insaputa del principe.
Le accuse si basano su tre elementi: «il controllo del principe saudita sul processo decisionale nel Regno, il diretto coinvolgimento di un consigliere chiave e di membri della cerchia di Mohammad bin Salman nell’operazione, e il sostegno del principe all’uso di misure violente per zittire il dissenso all’estero». Il consigliere chiave è Saud al-Qahtani, uomo temutissimo che chiamava intellettuali e dissidenti in patria e all’estero per intimidirli (telefonò anche a Khashoggi) e «non agiva mai senza l’approvazione del principe». Qahtani fu licenziato nel 2018, ma non incriminato. Fonti locali hanno detto alla Reuters che è «libero e lavora con discrezione».
Il team includeva poi «sette guardie del corpo personali» di Mbs, un sottogruppo della Guardia Reale noto come Rapid Intervention Force (forza di intervento rapido), «che risponde solo al principe e aveva già partecipato a operazioni precedenti contro dissidenti in patria e all’estero. Non avrebbero mai agito in assenza di un suo ordine». Tra di loro rientra Maher Mutreb, subito riconosciuto dalle foto del 2 ottobre 2018 diffuse dai media turchi poiché apparso in precedenza accanto a Mbs in visite ufficiali. Qahtani e Mutreb sono in cima alla lista di 21 individui considerati dall’intelligence Usa «con alta probabilità» complici o responsabili dell’assassinio «per conto del principe». Tra i nomi si ritrovano gli 11 già identificati nel rapporto del 2019 della relatrice speciale dell’Onu per le esecuzioni extragiudiziarie Agnes Callamard che concluse che c’erano «prove credibili di una responsabilità del principe che richiedevano ulteriori indagini». Nelle due liste compaiono tra gli altri Ahmed Asiri, il vice-capo dell’intelligence che la procura saudita additò per aver ordinato il rimpatrio di Khashoggi ma poi prosciolto «per mancanza di prove»; Salah Mohammad Tubaigy, esperto forense che avrebbe fatto a pezzi il cadavere; Mustafa Al Madani, che avrebbe indossato i vestiti di Khashoggi per fingere che fosse uscito vivo dall’edificio, e lo stesso console Mohammad Al- Utaybah. Il rapporto Usa non risponde ad una domanda più volte posta in questi anni: uccidere il giornalista era nei piani sin dall’inizio? «Non sappiamo in quale momento si sia deciso di fargli del male»». Ma si sottolinea un particolare: questi individui non potevano fallire, «avevano paura di essere puniti, anche con l’arresto».