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 2021  febbraio 27 Sabato calendario

Il potere del sandalo Birkenstock

BERLINO – Negli anni Ottanta girava persino voce che le Birkenstock fossero così comode perché costruite in salita: più alte sulle dita che al tacco. E già allora i sandali dalla suola spessa erano diventati l’emblema di un certo brutalismo teutonico applicato ai piedi. Non solo perché le turiste tedesche si affannavano sul Ponte Vecchio o sulla Trinità dei Monti esibendoli in ogni stagione, spesso con un paio di calzettoni bianchi, scoraggiando anche i gigolò più accaniti. Ma perché le Birkenstock sono sempre sembrate il perfetto concentrato di qualità e difetti germanici. Duecento cinquant’anni di affidabilità, di caparbio rifiuto del design, di frugalità monacale, di ortopedica ergonomicità, di orgogliosa bruttezza. Sono sempre stati l’arma segreta delle vacanze col sacco a pelo, dei pomeriggi pigri e dei lavoretti in casa. Un Maggiolone per i piedi.
Ma ieri si è chiusa un’era. La tedesca Birkenstock è stata comprata, si mormora, per la favolosa cifra di quattro miliardi di euro dall’investitore franco-americano L Catterton, sostenuto dal re del lusso Bernard Arnault. Il sandalo brutalista ha incontrato Vuitton. Gli eredi della famiglia, Alexander e Christian Birkenstock, hanno ceduto la maggioranza delle loro azioni e hanno concordato anche il silenzio sul prezzo. Il marchio di Linz sul Reno conta 4300 dipendenti e produce quasi esclusivamente in Germania. Nel 2019 ha venduto circa 24 milioni di scarpe e vanta un fatturato di 720 milioni di euro. “I nuovi acquirenti mostrano una profonda conoscenza dei dettagli produttivi e hanno capito che tutto gira intorno alla qualità": è stata questa la motivazione della vendita, stando a una dichiarazione dei fratelli Birkenstock all’Handelsblatt.
Con la cessione ai francesi si chiude un’era. “Oekobock auf Birkenstock” cantavano gli scolari delle scuole tedesche negli anni ’70 e ’80: “voglia ecologica di Birkenstock” era il motto di una generazione che aveva scoperto la frugalità ambientalista e vestiva orgogliosamente povero. In Germania, in quel periodo, il pantalone di velluto a coste larghe, il jeans, le camicione da boscaiolo e mostruosi maglioni di lana fatti a mano si abbinavano spesso alle caratteristiche scarpe dalla cinghiona unica o doppia, le Madrid e le Arizona. Quando Joschka Fischer destò scandalo negli anni ’80 entrando nel Parlamento dell’Assia con un paio di scarpe da ginnastica, sarebbero potute benissimo essere delle Birkenstock. Erano la divisa dei Verdi, soprattutto quelli degli esordi.
In un certo senso, dunque, che Birkenstock venga venduta al polo del lusso è una nemesi. Per decenni sono stati soprattutto gli italiani e i francesi a roteare gli occhi alla vista di quei sandali poco eleganti. Adesso li comprano a vagonate, come tutto il resto del mondo. Ma il primo Paese fuori dal Vecchio continente a scoprirli sono stati gli Stati Uniti.
L’intuizione di vendere le sue comodissime suole oltreoceano venne a Konrad Birkenstock all’inizio del Novecento, quando i turisti americani invadevano i Kurorte tedeschi ed europei, le spa teutoniche e svizzere rese glamour dai romanzi di Thomas Mann. Ma la svolta vera arrivò quando la californiana Margot Frazer, durante una vacanza in Germania alla fine degli anni Sessanta, le scoprì e le lanciò negli Stati Uniti. E il patron di allora, Karl Birkenstock, le affidò la “Birkenstock Usa” perché le era sembrata “una persona di cui fidarsi” come Jochen Gutsy ha raccontato al New Yorker. Un altro dettaglio molto tedesco. Insieme alla storia che più di recente, già ultra ottuagenario, Karl Birkenstock avrebbe assistito sempre più incredulo alle eccentriche metamorfosi delle sue funzionali scarpe aperte. Peraltro, la scelta stessa che la più intellettuale delle riviste americane abbia dedicato un reportage alla fabbrica delle Birkenstock, e che il fotografo sia stato l’enfant terrible della moda tedesca, Juergen Teller, dà conto della svolta chic delle scarpe renane.
Sulle passerelle, le Birkenstock hanno fatto la loro prima apparizione, molto fugace, nel 1992 in una collezione di Mark Jacobs. È bastata a renderle un classico anche col vestito da sera lungo. Ma molto più dirompente è stato un colpo di genio di Phoebe Philo, che nel 2012 vestì un paio di Arizona nere di visone e le lanciò sulle passerelle parigine. Apriti cielo: nel giro di pochi anni le vendite del sandalo sono schizzate dai 10 milioni di paia venduti allora ai 24 milioni di oggi. E di recente, hanno fatto capolino anche nel catalogo delle pseudo-sregolatezze dei ricchi annoiati. Kylie Jenner si è fatta fare da Hermes un paio di Arizona con una vecchia borsa Birkin e le ha ribattezzate “Birkinstock”. Yawn.