La Stampa, 27 febbraio 2021
Chiamarsi Terrone
L’ingegner Francesco Terrone di Mercato San Severino, Salerno, chiede giustizia al tribunale affinché imponga all’Accademia della Crusca di rivedere la definizione del sostantivo che, nel caso del ricorrente, si è dolorosamente trasferito all’anagrafe. La Crusca riconosce a terrone soltanto accezioni scherzose o spregiative, e non ha dato udienza alle rimostranze di Terrone, persuaso della necessità di introdurre nella voce qualche accenno storico sul rilievo e sullo sfruttamento del mezzogiorno, nonché sul lustro consegnato al Paese da tutti i Terrone, omonimi e avi. Me ne dolgo moltissimo: da bergamasco residente a Roma da tre lustri abbondanti, in una breve biografia avevo chiesto mi fosse attribuita la qualifica di terrone ad honorem (ebbi soddisfazione), conoscendo la teoria della relatività: per i bergamaschi i romani sono tutti terroni, ma per i romani i terroni sono tali solo da Napoli in giù. Mi spiacerebbe essere riabilitato, da neoterrone, per via giudiziaria, oltretutto con inversione della prova: Terrone, dotato di prestigioso titolo di studio, dovrebbe sapere che i vocabolari non indirizzano la lingua, ma la registrano, e non sarebbe la riscrittura di una parola a cambiarne il significato. Terrone sarà ancora Terrone, e terrone pure, come insegna l’istruttiva storia del consigliere comunale di Napoli, Pietro Mastronzo, che stanco del dileggio dell’opposizione decise di ribattezzarsi Mastranzo. E quando in assemblea gli fu data la parola, annunciato dalle nuove fiammanti generalità, un avversario ottenne la messa agli atti di una mozione di partito: «Per noi Mastronzo resta».