la Repubblica, 27 febbraio 2021
I rider e il congresso del Pd
Un ipotetico congresso del Pd, visto che la carne al fuoco è tanta, potrebbe semplificare l’intera faccenda partendo da questa domanda, che campeggi alle spalle degli oratori: perché a dare un colpo decisivo allo sfruttamento dei rider non è stata la politica, ma la magistratura? Una buona risposta a questa domanda potrebbe, quasi da sola, far ripartire la macchina inceppata della sinistra. Ridarle identità, restituirle una funzione, rivalutare la sua storia (anche gloriosa) e prometterle un futuro. Perché i rider sono esattamente come i braccianti di Pellizza da Volpedo a fine Ottocento, come le mondariso nel Dopoguerra, come gli operai arruolati in massa nel primo boom industriale: proletariato senza diritti. Il procuratore Greco, che di mestiere non fa politica ma cerca di applicare le leggi, lo ha spiegato benissimo: «Non sono schiavi, sono cittadini». L’organizzazione sindacale e politica dei senza voce, degli sfruttati, della carne da profitto, è stata, per circa due secoli, la ragione stessa dell’identità, della cultura e dell’azione della sinistra. Oggi si direbbe: il suo core business. Per quanto ingannevole possa essere la vetrina dei tempi (il rider impugna lo smartphone e non la vanga) la sostanza è ancora quella. E per quanto l’epoca abbia affastellato problemi nuovi, e molteplici, complicando di molto la dialettica capitale-lavoro, l’assenza di una soluzione politico-sindacale di un macroscopico caso di sfruttamento come quello dei rider dice molto, alla sinistra, della sua crisi profonda. In un congresso nel quale si discuta davvero di questo, nessuno oserebbe perdere tempo parlando di correnti e di sottosegretari.