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 2021  febbraio 25 Giovedì calendario

Arabia Saudita, la mossa di Biden

New York Una telefonata e la pubblicazione di un rapporto tenuto finora segreto: in due mosse la Casa Bianca chiude l’era dei trionfi di Mohammed Bin Salman e inaugura mesi che si annunciano assai spinosi per il principe ereditario saudita.
La telefonata è quella con cui – a ben cinque settimane dall’insediamento – Joe Biden chiama Riad, scegliendo di parlare non con Mbs (come l’erede al trono è chiamato), l’interlocutore privilegiato dell’era Trump, ma con il padre, l’85enne re Salman: «Unica sua controparte», come sottolinea la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, nonostante l’anziano sovrano abbia da tempo abdicato alla gestione quotidiana del regno.
La telefonata arriva alla vigilia della diffusione del rapporto della Cia sulla morte del giornalista Jamal Khashoggi, attesa per le prossime ore: un rapporto che – secondo anticipazioni note da tempo ma mai direttamente confermate – punta il dito sul principe ereditario come mandante dell’assassinio nel consolato saudita di Istanbul nel 2018 del giornalista dissidente. Un rapporto che Trump aveva sempre tenuto riservato e che ora la direttrice della National Intelligence Avril Haines si è impegnata a rendere pubblico, mettendo fine una volta per tutte ai privilegi di cui il principe ha goduto negli ultimi quattro anni. Confermato dallo stesso Trump, pronto a dichiarare al giornalista Bob Woodward: «Gli ho salvato la pelle». E da suo genero, Jared Kushner, che con Mbs aveva creato un rapporto personale gestito via Whatsapp, lontano dai tradizionali canali diplomatici.
La posizione pubblica del principe è stata aggravata dalla pubblicazione ieri su Cnn di documenti giudiziari canadesi in cui Mbs è messo in collegamento diretto con la compagnia area titolare del jet privato usato dal commando che uccise Khashoggi. La causa è quella intentata contro Mbs da Saad al Jabri, ex capo dell’antiterrorismo saudita in esilio in Canada, i cui figli adolescenti sono stati tenuti bloccati in Arabia Saudita da quando l’uomo ha rifiutato di tornare in patria per paura di Mbs.
Proprio sui destini di al Jabri e del suo ex capo, ex ministro dell’Interno ed ex principe ereditario Mohammed Bin Nayef, per 15 anni uomo di riferimento di Washington ora agli arresti domiciliari per ordine di Mbs, si centrano alcune delle possibili richieste Usa.
Biden potrebbe pretendere il rilascio dei figli del primo e la liberazione del secondo: il nuovo leader americano già in campagna elettorale aveva minacciato di trattare i sauditi come “paria”, per via delle troppe violazioni dei diritti umani.
Col ritiro dell’appoggio nella guerra in Yemen e lo stop alla vendita di armi l’Amministrazione aveva già fatto capire che l’impunità garantita da Trump non sarebbe stata tollerata. Mbs lo sa e da mesi tenta una correzione di rotta: ha ricucito con il Qatar dopo uno strappo diplomatico durato tre anni. Ha liberato – ma tenendola sotto inchiesta e vietandole di viaggiare – Loujain al Hathloul, la più famosa dissidente del regno. Ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu per discutere del possibile allargamento degli accordi di Abramo al regno saudita. Basterà? Difficile saperlo ora. Gli americani non pensano di osteggiare l’ascesa del principe, come dimostra la chiamata che questi ha ricevuto dal ministro della Difesa americano, il generale Lloyd Austin: ma a Riad chiedono un deciso cambio di rotta.