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 2021  febbraio 25 Giovedì calendario

Il settore militare inquina quanto 14 milioni di auto


Emissioni di gas serra che producono una “impronta del carbonio” (indicatore ambientale che misura l’impatto delle attività umane sul clima) pari a quella di 14 milioni di automobili l’anno: è il contributo che il comparto militare dei Paesi Ue dà all’inquinamento del pianeta, almeno secondo stime che potrebbero essere tranquillamente al ribasso se si considera l’assenza di trasparenza sui dati. A elaborare un rapporto documentato, sistematico e preciso – sia nella raccolta delle informazioni esistenti che nell’individuazione dei loro punti deboli – è il gruppo Left (Gue/Ngl) del Parlamento europeo.
“I militari – rileva il rapporto – sono spesso esentati dal dichiarare pubblicamente le proprie emissioni di gas serra” magari per motivi di sicurezza nazionale. Non esiste una rendicontazione pubblica consolidata per le forze armate nazionali e nessun obiettivo di riduzione generale che includa le emissioni dei militari. Lo studio si è concentrato su Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Spagna: l’impronta di carbonio della spesa militare dell’Ue nel 2019 sarebbe stata pari a circa 24,8 milioni di tonnellate di CO2, che equivale alle emissioni di circa 14 milioni di automobili medie. “Si è scoperto – si legge – che la Francia contribuisce a circa un terzo dell’impronta di carbonio totale per le forze armate dell’Ue” pari a 4,56 milioni di tonnellate di CO2 nel 2019. A seguire, la Germania con 3,12 milioni di tonnellate (18%) Spagna (11%) e Italia con 1,84 milioni di tonnellate (9%). Un altro importante contributor è la Polonia per via della sua rete elettrica basata sull’utilizzo del carbone. “Tra le società di tecnologia militare – si legge – PGZ (con sede in Polonia), Airbus, Leonardo, Rheinmetall e Thales sono state giudicate quelle con le emissioni più elevate. Alcune società di tecnologia militare non hanno pubblicato i dati sulle emissioni, inclusi MBDA, Hensoldt, KMW e Nexter”. Il settore, però, è uno dei più proliferi nelle emissioni di carbonio. “La sicurezza nazionale è stata spesso citata come motivo per non pubblicare i dati. Tuttavia, dato l’attuale livello di dati tecnici, finanziari e ambientali già pubblicamente disponibili sugli eserciti delle nazioni dell’Ue (e di altre), questo è un argomento non convincente”.
Il trend, poi, non sembra essere in diminuzione, anzi. Negli ultimi anni la spesa militare è aumentata e con essa anche le conseguenti emissioni. Nel 2018 per i primi sei Stati membri dell’Ue si è passati dallo 0,9 per cento all’1,8 per cento di risorse spese in relazione al Pil. “Dati provvisori per il 2019 e il 2020 hanno mostrato aumenti significativi per molti Paesi, in linea con l’avvicinamento all’obiettivo di spesa della Nato di almeno il 2 per cento del Pil”, un obiettivo concordato tra i Paesi che ne fanno parte e il cui “rinnovato perseguimento è principalmente in risposta alle pressioni degli Stati Uniti, in particolare dell’Amministrazione Trump”. I soli Paesi della Nato coprono più della metà della spesa militare globale con i loro 162 miliardi di euro, mentre quella russa sarebbe di 50 miliardi di euro, quella statunitense intorno ai 561 miliardi. E l’Italia? La spesa si è assestata intorno ai 21 miliardi di euro l’anno, con una crescita del 14 per cento dal 2014. Anche il nostro piano energetico, redatto nel 2019, non fa riferimento alle emissioni del comparto militare nonostante qualche strategia sia stata messa a punto, soprattutto per quanto riguarda gli edifici. Di buono c’è che alcune delle principali aziende produttrici di tecnologie militari in Italia pubblicano dati dettagliati sulle proprie emissioni. “Queste cifre mostrano che Leonardo ha le maggiori emissioni di gas serra legate al settore militare in Italia” (183mila tonnellate di Co2). In Fincantieri, unica che ha stimato la propria impronta di carbonio, “l’l’impronta per dipendente è di 42,7 tonnellate di CO2, più di cinque volte il livello delle emissioni dirette, a dimostrazione della natura ad alta intensità di carbonio del settore e della sua catena di fornitura”.