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 2021  febbraio 24 Mercoledì calendario

Un’altra intervista a Luca Zingaretti


Luca Zingaretti “Regia e progetti la mia nuova vita dopo Montalbano”
di Silvia Fumarola
«Ho detto che volevo aspettare un anno per elaborare il lutto», dice Luca Zingaretti, «è passato, ma con la pandemia il tempo si è fermato e mi trovo nella stessa identica situazione. Se ne sono andate tre persone fondamentali: Andrea Camilleri, Alberto Sironi e Luciano Ricceri, lo scenografo che ha creato il mondo di Montalbano. Sono in un limbo. Non sono stanco del personaggio, ma è dura, sul set si sente la loro mancanza. Quindi per ora nessuna decisione sul futuro».
Non è ancora andato in onda Il metodo Catalanotti, il nuovo episodio del Commissario Montalbano diretto e interpretato dall’attore, previsto l’8 marzo su Rai 1, che i fan si chiedono: sarà l’ultimo? Una petizione chiede che venga realizzato Riccardino. Ma anche il produttore Carlo Degli Esposti, che realizza la serie con RaiFiction, prende tempo: «È passato un anno dalla tempesta perfetta, il covid ci impedisce di tornare sul set con la tranquillità che ci ha contraddistinto in questi anni: dopo il coronavirus decideremo. Per me e per altri Montalbano è eterno». L’incontro con una bella ispettrice della Scientifica, Greta Scarano, sconvolge la vita di Montalbano, impegnato a indagare su un caso di impianto teatrale (nel cast Carlo Cartier, Antonia Truppo, Marina Rocco), in cui realtà e finzione si sovrappongono.
Zingaretti, cos’ha di speciale “Il metodo Catalanotti”?
«È uno dei libri più atipici di Montalbano, ci sono tutti i temi cari a Camilleri: il gioco delle apparenze, lo specchio tra realtà e finzione, la vecchiaia. Eravamo abituati a conoscere Salvo in un certo modo: legato alla sua terra, al suo commissariato a Livia (Sonia Bergamasco), la sua coscienza.
Invece fa i conti con la passione».
Cambiano le priorità?
«Completamente. Si era già invaghito, lo abbiamo visto nel caso
La vampa d’agosto e L’età del dubbio, ma tornava sempre da Livia. Qui perde la testa, per la prima volta dice: “Lascio la casa, vado in pensione”. Abbandoniamo gli stilemi da commedia dell’arte, ci misuriamo con la realtà. E Salvo si rivela un uomo anche vigliacco, parla con Livia solo al telefono».
Cosa è scattato in Camilleri?
«Forse ci ha voluto far conoscere un altro Montalbano. Oggi da lassù si starà dicendo che lo scherzo è riuscito, la scrittura è un gioco».
Come ha vissuto il lockdown e la pandemia?
«Il covid, con tutto il dolore che ha portato, ci ha fatto riflettere. Voglio rendere omaggio a tutte le persone che hanno pianto i propri morti e a chi ha difficoltà a mettere il piatto a tavola. Ho ripensato alla mia vita».
Su cosa ha riflettuto?
«Su tante cose. Mi sono detto: forse se la tua carriera è andata come è andata, è per il “fattore c” ma qualcosa di buono l’hai imparato.
Dedicati alla creatività. Non avrei mai voluto che avvenisse così il passaggio alla regia, per la malattia e la scomparsa di un amico come Alberto. Ora sto pensando a mie regie, a creare progetti. Sempre nel massimo rispetto dei miei limiti e dei miei difetti, mi sono autorizzato a entrare in un mondo creativo.
L’orizzonte da attore mi cominciava a stare un po’ stretto».
Però non smette di recitare.
«No lunedì partirò con la serie Sky
Il re di Giuseppe Gagliardi, in cui interpreto il direttore di un carcere».
Ha promosso le manifestazioni per riaprire teatri: cosa chiede?
«Con Unita, di cui sono uno dei fondatori, abbiamo organizzato “Facciamo luce sui teatri”. Non è nata per aprire le sale domani, ci rendiamo conto della situazione, ma per attirare l’attenzione sui protocolli da prendere appena si potrà».
Ha opzionato i libri di Genisi e prodotto con Angelo Barbagallo “Lolita Lobosco”, successo interpretato da sua moglie Luisa Ranieri: quanto è fiero?
«È stata una deflagrazione, avevo sentore che stesse succedendo qualcosa, non certo di queste proporzioni, vivendo con Luisa vedo quanto la gente le è affezionata. Ha conquistato la fiducia del pubblico, che è importante per proporre altre cose: questo mi rende felice. Da marito sono contento del successo di mia moglie».
Parlando di successo, lei ha sempre avuto dalla sua parte il pubblico femminile. Ha ironizzato spesso sul ruolo di sex symbol, ma quanto ha contato?
«Il pubblico mi ha scaldato il cuore nei momenti belli e in quelli difficili. Non sono un sex symbol. Ho imparato a conoscere il pubblico femminile, è competentissimo e dà fiducia con più riserve. Ma quando lo conquisti è fedele e si aspetta tanto. Le donne non danno la loro attenzione gratis, i maschietti sono faciloni e meno fedeli».
Tra debutti e repliche, Montalbano è un fenomeno. Il segreto?
«La sua visione della vita, filtrata dai racconti di infanzia di uno scrittore che ha cominciato a scrivere tardi, dalla profondità della sua cultura.
Noi siamo stati bravi a portarli sullo schermo. Abbiamo debuttato quando la tv andava in direzione apposta, E.R. era adrenalinico.
Montalbano è l’elogio della lentezza, ha i suoi ritmi. Non ci siamo accontentati. Questo non significa che non vuoi piacere, ma fare film che per prima cosa devono piacere a te, con un’identità».
Le manca Camilleri?
«Mi manca la sua voce, non ci sentivamo tanto, ma prendeva posizione, era uno dei pochi personaggi autorevoli. Manca dal punto di vista letterario, culturale e politico. E mi manca molto Alberto Sironi, con cui ho condiviso anni sul set e combattuto tante battaglie. È stato il mio compagno di trincea, Andrea era più il generale».