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 2021  febbraio 24 Mercoledì calendario

Il podcast di Obama e Springsteen

La voce profonda di Barack Obama s’intreccia a quella roca di Bruce Springsteen: «In apparenza abbiamo poco in comune. Lui è un bianco nato in una piccola città del Jersey. Io un biracial delle Hawaii che ha girato il mondo da bambino. Un’icona rock e un politico non altrettanto “cool”». Già, poco in comune: a parte essere entrambi “Born in the Usa”, come cantava il Boss in quel suo inno all’America datato 1984, così critico verso il Paese guidato da Ronald Reagan. E pure due “Renegades”, rinnegati, il termine scelto proprio da Obama come suo nome in codice per i servizi segreti (da un film del 1989 con Kiefer Sutherland), che in inglese indica, anche, chi rompe le regole.
Ecco perché Renegades: Born in the Usa è il titolo del podcast lanciato lunedì su Spotify, dove l’ex presidente, 59 anni, e il rocker, 71, si raccontano a partire da quella loro amicizia nata nel 2008: quando il Boss corse in aiuto dell’allora sconosciuto senatore dell’Illinois in gara per la Casa Bianca: «Era una star timida. Mi ripromisi di vederlo ancora», ride il politico. «I timidi cantano per trovar voce» ammette il musicista, in uno dei tanti scambi fatti di memorie personali e riflessioni sull’America di oggi, canzoni alla chitarra e brani di discorsi politici, come quello pronunciato dall’allora leader dem nel 50esimo anniversario della marcia di Selma: «Siamo lo spirito di coloro che diedero voce a chi non l’aveva...» (per poi aggiungere «So che ti piace questo passaggio, Bruce»).
Filo conduttore delle otto puntate registrate fra luglio e dicembre nella casa-studio di Springsteen fra i campi di grano di Colt Neck, New Jersey, è un quesito: «Come siamo arrivati fin qui e come ritrovare la strada dell’unità?». Formulato però a posteriori, nell’introduzione registrata da Obama dopo l’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Dove parla dell’America ferita, senza mai nominare Donald Trump: «Per 3 anni ho visto il mio successore opporsi a tutto ciò in cui credo, in un Paese ogni giorno più arrabbiato e diviso».
L’esempio di due vite complicate e di successo, diventa dunque il simbolo di cosa è stato e può ancora essere il Paese: «Nella nostra diversità io e Bruce abbiamo percorsi paralleli. E condividiamo un ideale d’America simile. Non fiction ripulita dalle contradizioni o un atto di nostalgia. Ma bussola capace di guidare il duro lavoro di ogni cittadino».
I due parlano di tutto. A partire dall’esempio di “mascolinità” ricevuto da padri assenti, «schizofrenico, incapace di tenersi un lavoro e un amico» quello del cantante. «Lontano. Venne a trovarmi la prima volta che avevo 10 anni, non ci connettemmo mai davvero» quello del politico. E poi il rapporto con le mogli Patti (Scialfa) e Michelle: «Si sono prese subito, fanno progetti alle nostre spalle». Fino alle tensioni razziali, con Barack a ricordare quando era «l’unico nero a scuola, un fuori casta». E Bruce la sua collaborazione col sassofonista Clarence Clemons che lo portò a fare della sua E street «una delle prime band miste d’America».
A produrre il programma è d’altronde la Higher Ground, casa di produzione fondata dagli Obama nel 2018 che due anni fa già firmò un contratto milionario con Netflix per una serie di documentari. Incuriosito del successo del The Michelle Obama Podcast, dove quest’estate, sempre su Spotify, l’ex First Lady affrontava problemi femminili, dalla depressione alla menopausa, pure l’ex presidente ha voluto sperimentare il mezzo sonoro che sta seducendo gli americani (lo ascolta settimanalmente il 36 per cento, secondo dati di podcasthosting.org ). E con cui il mese prossimo si confronterà pure Bill Clinton, pronto a lanciare un suo podcast dal titolo: “Why I am telling you this?” Perché vi dico questo?
E pazienza se Renegades arriva in un momento turbolento per il musicista: con la notizia del suo arresto per guida in stato di ebrezza, emersa all’indomani della presentazione al Super Bowl dello spot di Jeep – il primo cui aveva accettato di partecipare per via del messaggio unificante – costringendo la casa automobilistica a ritirarlo. Poco importa: dal podcast non sono stati cancellati i riferimenti alle «cene alcoliche» terminate con i due «al pianoforte, a cantar grandi classici». Sembra quasi di sentirli. La voce roca di Springsteen. Quella profonda di Obama.