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 2021  febbraio 24 Mercoledì calendario

Intervista a Luca Zingaretti. Parla di Montalbano

«Nel realizzare questo nuovo Montalbano, il 37° della collezione di film-tv, ci siamo trovati ad affrontare un problema enorme: il grande tradimento di Andrea Camilleri nei confronti del suo Commissario», esordisce Luca Zingaretti, protagonista de Il metodo Catalanotti, tratto dal romanzo omonimo del grande scrittore siciliano, scomparso nel 2019, in onda l’8 marzo su Rai1, prodotto da Palomar con Rai Fiction.
Quale tradimento?
«Finora, Camilleri ci aveva descritto un personaggio fortemente legato all’amore per la sua terra, la sua casa sul mare, le sue nuotate solitarie, la sua donna, Livia, a volte tradita ma sempre in maniera fugace... e poi la passione per il suo lavoro e la sua squadra. Per questo, nelle fiction precedenti, ci eravamo inventati una recitazione in stile Commedia dell’Arte, sopra le righe. Stavolta mi sono trovato davanti a un personaggio diverso: Montalbano, non più giovanissimo, si innamora perdutamente di una ragazza molto più giovane di lui, Antonia (Greta Scarano), la nuova responsabile della scientifica, che partecipa alle indagini sull’omicidio di Catalanotti».
Anche in passato il Commissario aveva avuto delle sbandate amorose.
«Sì, ma in questo caso perde la testa, è disposto per lei a lasciare tutto: la casa, il lavoro e persino Livia! Ma il maturo Commissario innamorato verrà lasciato dalla ragazza... È un vero terremoto, Camilleri sovverte tutto e, avendolo scritto in là con gli anni, è come se avesse voluto fare un riferimento alla vecchiaia che intende impossessarsi della giovinezza. Nell’interpretarlo, mi sono dovuto calare in un altro film, un salto nel vuoto».
In questo romanzo, lo scrittore fa riferimento a un’altra sua passione: il teatro.
«Proprio così. Carmelo Catalanotti, l’uomo assassinato, oltre a essere un usuraio, è un artista fondatore di una compagnia filodrammatica: un guru geniale che ha grande potere, crudele e sadico, sugli altri soci della compagnia, che sono posseduti dal suo “metodo”... e qui sta la chiave del giallo. Forse Camilleri, presagendo la sua scomparsa, ha scritto quest’opera come testamento, con un preciso riferimento a temi pirandelliani a lui cari».
Non solo protagonista, lei è regista per la terza volta, firmando con lo scomparso Alberto Sironi, come è avvenuto per i precedenti film-tv della saga: La rete di protezione e Salvo amato, Livia mia. E da 22 anni incarna lo storico Montalbano.
«È stata un’avventura meravigliosa, di cui all’inizio non mi rendevo conto: ho amato questo personaggio anche nelle sue antipatie. Una cavalcata che sta per finire o forse no... perché ci sono altri due romanzi, Il cuoco dell’Alcyon e Riccardino».
Eppure, Camilleri affermò di essersi stancato di Montalbano, dal cui successo si sentiva «ricattato». Lei ancora no?
«Certo, per un attore è bello cambiare, ma a pochi è concesso di misurarsi con un personaggio che ogni anno viene raccontato dall’autore in una storia differente. Capisco che Andrea si sentisse ricattato dalla casa editrice Sellerio, che gli chiedeva sempre nuove storie, ma non avrebbe ceduto al ricatto se si fosse realmente stancato. Anch’io, nel 2008, decisi di interrompere: volevo uscire di scena, come piace a noi attori, tra gli applausi. Poi ne avevo nostalgia e ho ripreso: sono felice di aver continuato a vivere quest’avventura, sia dal punto di vista artistico, sia come esperienza umana».
Dato che in questo tv-movie si parla di teatro, ha nostalgia del palcoscenico?
«Sembra un omaggio postumo di Camilleri al teatro, in questo difficile momento in cui le sale sono chiuse. Sono socio fondatore dell’associazione Unita, che l’altra sera ha chiamato a raccolta tutti i teatri per una riapertura ideale. Ho nostalgia come attore e spettatore, occorre attirare l’attenzione delle istituzioni per attuare i protocolli necessari alla riapertura. Se si perdesse l’abitudine di frequentare il teatro, sarebbe molto grave: è un luogo dove, celebrando un rito pagano, si tiene insieme il tessuto della comunità».