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 2021  febbraio 23 Martedì calendario

La ’ndragheta in Germania


BERLINO — Sono in nove, nascosti soprattutto a Ovest e a Sud, nelle ricche regioni dove gli italiani emigrarono nel Dopoguerra, attratti delle fabbriche. Sono espressione delle città e dei paesi dove quegli immigrati avevano cercato di riscattarsi dalla miseria e la ‘ndrangheta aveva esportato le sue prime metastasi. I nove si incontrano almeno una volta all’anno per garantire la pace tra le grandi famiglie: sono i vertici dei clan calabresi in Germania.Il cancro del malaffare organizzato è ormai talmente esteso che le ‘ndrine si sono sintetizzate in un “Crimine Germania” per non ripetere gli errori del passato. La conferma arriva dalla Procura federale tedesca. E il quartier generale, secondo un’inchiesta di Faz e del Mdr, potrebbe essere Duisburg. Proprio la città dell’operosa Ruhr dove le famiglie più potenti hanno imparato una lezione fondamentale. Dopo i sei morti ammazzati nella pizzeria “Da Bruno”, dopo la strage di Ferragosto del 2007 che svegliò la Germania dall’illusione che le mafie fossero un fenomeno folcloristico di una minoranza, le ‘ndrine avevano bisogno che sulle loro attività calasse di nuovo il silenzio. La guerra brucia soldi, la pace li moltiplica. Così, quando la polvere si è posata su Duisburg e la Germania ha ricominciato a relegare quegli affari a un problema che riguardava gli immigrati italiani, è nata la “Camera di controllo” tedesca. Come disse l’ex boss Luigi Bonaventura all’esperto tedesco di mafia Sandro Mattioli, «ormai la Germania è provincia». E nel “Crimine Germania” non si decidono gli affari: serve a mantenere la pace sulle grandi famiglie che ormai hanno suddiviso il Paese in 18 o 20 “locali”, le loro basi operative. Anche Mattioli trasse la sua lezione dalla strage di Duisburg: fondò “Mafia nein danke”, l’associazione che cerca di mantenere un faro acceso su un fenomeno sempre più esteso. E oggi il giornalista dice che l’esistenza della cupola «è la dimostrazione di quanto la Germania sia ormai fondamentale, per la ‘ndrangheta». Una piazza paradisiaca soprattutto per il riciclaggio, grazie a «leggi troppo poco incisive e una scarsa volontà di approfondire», spiega a Repubblica. Ma secondo l’inchiesta, qualcuno di questi boss ha fatto carriera partendo dall’Est, dalla Turingia. Uno dei capi del “Crimine” viene da Erfurt. Ed è lì che una delle più importanti indagini degli anni Duemila è stata improvvisamente e misteriosamente archiviata. È nella regione di Weimar che comincia l’avventura di due cugini che portano uno dei cognomi più pesanti di San Luca. I giornalisti li hanno ribattezzati “Rossi” e anche gli inquirenti li hanno distinti in base dell’anno di nascita, “68” e “65”. Il primo arriva in Germania 17enne, per lavorare da cameriere. Nel 1989, nonostante lo stipendio da fame, rileva la pizzeria “Da Bruno”, quella della successiva strage di Duisburg. Negli anni, i due moltiplicano gli acquisti di ristoranti, gelaterie e attività utili al riciclaggio dei proventi dal traffico di droga. Che smerciano anche in Germania, e che arriva direttamente dal Sudamerica. I Rossi si concentrano soprattutto sulla Germania Est, l’eldorado schiuso dalla caduta del Muro di Berlino. È lì che il procuratore tedesco Bernd Finger intercetta per primo la telefonata di un boss che ordina, poco dopo l’implosione della vecchia Germania Est: «Comprare, comprare, comprare». Nel 2000 i magistrati di Gera avviano un’indagine sui cugini “Rossi”, affiliati al clan dei Pelle-Gambazza. È l”Operation Fido”. Gli inquirenti intercettano miriadi di telefonate, studiano i movimenti di denaro, parlano con i colleghi italiani. Durante le indagini gli rivelano di avere difficoltà nel rintracciare i flussi finanziari: i legami a Erfurt dei Rossi con banche e amministrazioni locali sono troppo forti. In un colloquio intercettato spunta persino un giudice. Gli inquirenti capiscono le strutture dei clan, i legami con le famiglie calabresi. I cugini Rossi reclutano cuochi, pizzaioli, camerieri dalla zona di San Luca e continuano a comprare locali nelle città dell’Est che definiscono “vergini”: Lipsia, Weimar, Jena, Dresda. Nel 2002, all’improvviso, la Procura generale di Jena ordina di chiudere l’indagine. Gli inquirenti sono basiti: non hanno ancora raccolto abbastanza prove per un processo, ma abbastanza indizi per andare avanti. Ma come sostiene Nicola Gratteri, che ha indagato spesso con i colleghi tedeschi, se la Germania dovesse ammettere l’esistenza della mafia, dovrebbe anche dire che c’è da decenni.