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 2021  febbraio 23 Martedì calendario

Intervista a Margrete Vestager

I giganti tecnologici statunitensi sono i grandi beneficiari della pandemia. L’Europa è determinata ad imporre alle multinazionali regole più severe. Alla guida di questo movimento c’è la vicepresidente dell’Ue Margrete Vestager. Negli ultimi mesi l’economista danese, 52 anni, responsabile delle politiche sulla concorrenza e sul digitale, ha analizzato attentamente le conseguenze della pandemia sulla concorrenza nell’Ue. «Stiamo lavorando su regole che stabiliscono chiaramente ciò che un’azienda può e non può fare».
I beneficiari della pandemia sono aziende digitali come Amazon, Microsoft e anche Netflix. In altre parole, aziende il cui potere lei intende limitare con regole più severe. Donald Trump l’ha criticata per questo. Cosa si aspetta dal suo successore?
«Mi aspetto molto dal presidente Biden. L’importanza delle grandi aziende tecnologiche per la società è cambiata radicalmente negli ultimi cinque anni. Oggi sono più importanti che mai per noi. Ma nella crisi del coronavirus sono emersi con chiarezza anche i problemi».
Intende dire che occorre agire immediatamente, anche se è sgradevole?
«Sì. Durante il mio ultimo mandato, ho avviato molti procedimenti in materia di concorrenza contro grandi aziende tecnologiche, e mi è diventato chiaro che contro Google o Facebook abbiamo bisogno di armi più potenti dei singoli procedimenti antitrust. Il successo e il potere sono inseparabili dalla responsabilità, e i giganti della tecnologia non l’hanno ancora capito. Dobbiamo costringerli a essere all’altezza delle loro responsabilità».
Questo può funzionare senza ostacolare lo sviluppo dell’industria tecnologica in Europa?
«Stiamo lavorando su regole che stabiliscono chiaramente cosa un’azienda è autorizzata a fare e cosa no. Per esempio, imporremo a grandi piattaforme come Amazon di condividere i propri dati con aziende che dipendono dall’accesso alle piattaforme. E faremo in modo che le aziende rivelino i criteri in base ai quali vengono generati i risultati di una ricerca o i newfeeds. Gli operatori dominanti nel mercato non devono usare il loro potere per impedire la concorrenza. Questo è il prerequisito affinché noi in Europa possiamo beneficiare appieno della prossima fase di digitalizzazione».
Crede che poi l’Europa avrà più successo di quanto non ne abbia avuto finora?
«L’Europa ha tutte le premesse per essere in prima linea a livello mondiale nella prossima fase di digitalizzazione. Nella prima fase sono emerse aziende gigantesche che realizzano profitti principalmente mettendo in contatto persone e imprenditori.
Commercianti con acquirenti, siti Web con utenti di Internet o persone con altre persone. Nella prossima fase l’industria sarà digitalizzata e tutto, proprio tutto, sarà collegato digitalmente. Qui l’Europa può svolgere un ruolo di primo piano.
L’industria del continente è forte, siamo innovativi, rilasciamo più brevetti di qualsiasi altra grande economia e abbiamo uno spirito imprenditoriale».
L’infrastruttura tecnologica proviene principalmente dagli Stati Uniti.
«Internet è effettivamente dominato dalle grandi società statunitensi e il loro potere minaccia non solo le nostre democrazie, ma anche le nostre imprese. Democrazia ed economia sono correlate. Google & Co. non possono privatizzare lo spazio pubblico di cui abbiamo bisogno per lo scambio democratico.
Abbiamo bisogno di un Internet aperto, anche per restare innovativi».
Perché gli americani dovrebbero rinunciare volontariamente alla loro supremazia?
«Gli americani temono i giganti della tecnologia tanto quanto noi. Molti Stati degli Usa stanno partecipando alle cause contro Google e Facebook e alcuni Stati hanno già approvato rigide regole sulla protezione dei dati. L’Europa è stata un pioniere in questo campo. Siamo davanti agli altri anche nel controllo delle grandi piattaforme, ma ancora di più nella protezione dei dati. Abbiamo offerto al governo Biden di lavorare con noi».
Come ha risposto Biden alla sua offerta?
«Non ancora ufficialmente. Il nuovo governo, comprensibilmente, è molto impegnato. Ma sento che l’atmosfera a Washington è decisamente cambiata».
L’Australia è particolarmente determinata nei confronti delle potenti multinazionali digitali. Una proposta di legge obbligherebbe Google a pagare per i contenuti delle notizie, e ora Google minaccia di chiudere il suo motore di ricerca in Australia. L’Europa dovrebbe adottare un approccio altrettanto aggressivo?
«Abbiamo già trattato questo argomento nella direttiva sul copyright. È importante disporre di questa direttiva ed è importante che gli Stati membri la recepiscano nella legislazione nazionale. La Germania è molto in ritardo, ma la Francia ha recepito molto presto la direttiva e ha già condotto con successo i primi negoziati con i giganti della tecnologia. Ma non ha senso affrontare di nuovo il tema con una legge completamente diversa. Il Digital Services Act ha una funzione del tutto differente. Per noi è importante che il Dsa non riguardi il copyright, né il modo in cui vengono suddivisi i ricavi. Il suo scopo è invece quello di disciplinare la fornitura dei servizi digitali, stabilendo gli obblighi delle aziende».