la Repubblica, 23 febbraio 2021
Intervista ad Attilio Fontana
Attilio Fontana, governatore legista della Lombardia, il governo Draghi è partito con il piede giusto?
«Per quanto mi riguarda, sì. Il ministro Garavaglia, appena è stata annunciata la chiusura degli impianti di sci, è venuto qui a parlare con tutti i rappresentanti del turismo. La ministra Gelmini mi è sembrata molto aperta sui problemi che riguardano il nostro territorio».
Nulla da dire sul fatto che la prima decisione sia stata quella di confermare il blocco dei trasferimenti tra regioni con i divieto di ricevere amici in zona rossa?
«Non è mai stata mia abitudine entrare nel merito delle scelte di carattere sanitario del governo. Che siamo ancora davanti a una situazione seria mi sembra evidente».
La Lombardia, quando era in zona rossa chiedeva provvedimenti omogenei. Ha cambiato opinione?
«Lo ripeto da mesi. Rischiamo di essere sempre più vittime del virus. Continuiamo ad inseguirlo invece di cercare di anticiparlo. Ci sono alcuni comportamenti inaccettabili che ormai abbiamo capito che favoriscono il contagio. E giusto porre dei limiti generalizzati su quei comportamenti. Mentre si devono prendere provvedimenti mirati solo per circoscrivere alcuni focolai particolari».
Un esempio?
«La Lombardia ora è in zona gialla e ci sono comunque delle limitazioni. Se esistono altre zone in cui l’andamento del contagio è preoccupante è giusto che si sappia in anticipo ogni settimana cosa si potrà fare».
Matteo Salvini, però, insiste nel chiedere l’apertura serale dei ristoranti.
«Non c’è nulla di male se si rispettano le regole e tutte le linee di condotta. Molto meglio quattro persone che cenano al ristorante sedute a un tavolo distanziate, che gli assembramenti che abbiamo visto domenica davanti allo stadio di San Siro o la sera fuori dai bar. La gente comincia ad essere esasperata. E poi finisce che magari a tavola a casa si trovano in ventiquattro. Meglio dare un po’ di libertà controllata che regole rigide che vengono violate senza che nessuno intervenga».
È vero che oggi potrebbe firmare un’ordinanza che istituisce la zona arancione in tutta la provincia di Brescia?
«Nella lettera che ho inviato ieri al ministero della Salute ho fatto due ipotesi: l’istituzione della zona arancione in tutta la provincia di Brescia con la chiusura delle scuole o in alternativa alcuni interventi localizzati in alcuni Comuni dove i dati sono più brutti. La decisione la prenderò quando riceverò la risposta dei tecnici da Roma. Stiamo affrontando una fase nuova. Ed è necessario avere la massima condivisione. Stiamo valutando quale decisione prendere in base all’andamento delle varianti e su dati sostanziali».
Ma come? Un anno fa la Regione non ha istituito la zona rossa ad Alzano Lombardo e a Nembro. La scorsa settimana, invece, lei ha firmato un’ordinanza che ha messo in fascia rossa Bollate e altri tre Comuni. Oggi probabilmente ne firmerà un’altra per la zona arancione nel Bresciano. Cosa è cambiato?
«Le zone e le fasce sono due cose diverse. Io non potevo e non posso ancora oggi prendere provvedimenti che limitino la possibilità di uscire da un Comune e che facciano intervenire la polizia con i posti di blocco. Con i nuovi Dpcm le Regioni possono intervenire con restrizioni nelle zone che vengono ritenute più pericolose, ma senza limitare la libertà di movimento delle persone».
Guido Bertolaso ha annunciato la vaccinazione di 6,6 milioni di lombardi entro fine giugno. Lei dopo il taglio del 15 per cento delle forniture di AstraZeneca chiede a Draghi di farsi sentire in Europa. È a rischio il piano che approverete domani in giunta?
«Se arriveranno i vaccini, è possibile finire in tempo. Stiamo procedendo a scartamento ridotto perché avremmo bisogno di più dosi. Comunque continuano a dirci che ad aprile i vaccini arriveranno».
Il commissario Arcuri dovrebbe fare un passo indietro?
«Non entro in questioni che non spetta a me decidere. Per me i vaccini li può fare arrivare anche Gesù bambino, ma basta che arrivino almeno prima di Natale».
Al ministro Giorgetti Farmindustria ha detto che ci vorrebbero sei mesi per produrre i vaccini in Italia. A lei e alla sua vice Letizia Moratti avevano detto di no.
«Parlano di sei mesi, a me quattro sembravano già sufficienti. Ma visto che non dobbiamo sempre rincorrere il virus dobbiamo essere pronti. Guardiamo avanti, non pensiamo solo all’immediato. Anche contro l’influenza serve vaccinarsi ogni anno e sarà così anche per il Covid 19. Visto che stanno emergendo delle varianti mi auguro che anche le imprese farmaceutiche lombarde producano il vaccino. Serve che il governo le sostenga».
In Veneto, alcuni mediatori si sono rivolti al suo collega Luca Zaia. A lei nessuno?
«Anche qui si è fatto vivo un mediatore, ma mi sono comportato come Zaia e ho avvertito Arcuri».
C’era bisogno di sostituire per la seconda volta in otto mesi il direttore generale del Welfare, Marco Trivelli?
«Premesso che ho molta stima di Trivelli, per lavorare insieme ci vuole sintonia. Posso capire che Letizia Moratti abbia preferito scegliere qualcuno con cui si trova più in sintonia».