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 2021  febbraio 23 Martedì calendario

Ritratto dell’ambasciatore Luca Attanasio


«È andato via un raggio di sole». La frase che papà Salvatore Attanasio soffia all’orecchio di don Angelo Gornati, nella villetta di via Ferrara, gonfia le lacrime dei tanti che avevano visto crescere Luca all’oratorio di San Giorgio. È lì, nel cuore di Limbiate, che era nato l’impegno nel volontariato e nella cooperazione di un giovane ambasciatore che in paese tornava ogni volta che poteva, «ed era il nostro Luca, che prendeva il caffè anche col più sfigato dei suoi ex compagni delle elementari, che aveva una parola per tutti, che si fermava ad ascoltare chiunque». Sospira, mentre lo racconta, Daniele Lodola, ex cooperante con Action Aid e oggi in una fondazione milanese, cresciuto tra quei ragazzi di parrocchia che avevano cominciato insieme, con l’aiuto ai disabili e le adozioni a distanza, e non si erano mai persi di vista.
Luca Attanasio aveva era nato a Saronno nel 1977, era diplomatico dal 2001. Era stato in servizio in Svizzera, in Marocco, in Nigeria prima del Congo, ma sempre rientrava a Limbiate. L’Africa era il suo continente, la sua missione. Mancano a tutti, adesso, quell’impegno e quel sorriso, in questo paesino di inizio Brianza a una quindicina di chilometri da Milano. Un luogo che aveva imparato ad amare anche la moglie Zakia Seddiki, presidente dell’associazione “Mama Sofia”. Conosciuta da Luca Attanasio nella sua tappa di Casablanca, in Marocco, una carriera diplomatica sempre attenta agli ultimi e ai diritti delle donne. «L’ultima volta che sono andato a trovarlo in Congo – racconta ancora don Angelo lo avevo coinvolto in questa casa- famiglia per bambine di strada, una struttura strappata agli ex miliziani di Mobutu e riconvertita. Ma stava per finire la sua missione: sperava di andare lontano, finalmente, dai pericoli». Era stato l’anziano parroco a sposare Luca e Zakia a San Giorgio con rito cattolico, a presenziare a quello musulmano in Marocco. L’ultima volta che era stato in Italia, in ottobre, Attanasio aveva ricevuto un premio a Marina di Camerota, nel Cilento: il “premio Nassiria per la pace”. Anche a Camerota, ieri sera, nella stessa chiesetta di San Marco Evangelista dove era stato accolto, hanno tenuto una messa per ricordarlo. «Piacere sono Luca», si presentò al parroco e al giornalista che organizzava la manifestazione. «Essere ambasciatore significa non lasciare indietro nessuno: in qualsiasi parte del mondo, è una missione anche pericolosa, ma abbiamo il dovere di dare l’esempio».
Una tragedia così spaventosa non può che ingigantire chiunque ne venga colpito. Ma ieri la morte di Luca Attanasio ha ricordato a tutti al ministero degli Esteri un collega, un esempio incredibilmente virtuoso. Elisabetta Belloni, la segretaria generale, lo rispettava, «un uomo orgoglioso di rappresentare il suo paese, con rigore e preparazione. Noi penseremo sempre al dolore della moglie, alle sue 3 piccole bambine«. Mario Vattani, ministro plenipotenziario, ex console in Giappone, lo ha incrociato quando entrambi erano alla Direzione Mondializzazione (Africa, Asia e American Latina): «Era in segreteria di direzione, tutti i funzionari dovevano avere rapporto con lui, così l’ho conosciuto. Era già stato in Africa, in Nigeria aveva avuto un incidente ospedaliero da cui era uscito con difficoltà. Il ministero lo avrebbe mandato ovunque, a Washington, a Parigi… lui ha preferito ancora una volta l’Africa».
Coincide in tutto con quello che Attanasio aveva detto in ottobre nella chiesa di Camerota: «Lì, in Africa, davvero puoi fare la differenza, puoi sfidare problemi veri che qualche volta puoi risolvere». Un sognatore? Un missionario? «No, un grande diplomatico», dice Mario Vattani, «perché era un grandissimo uomo».