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 2021  febbraio 23 Martedì calendario

L’Etna spiegato da Boris Behncke

P er capire chi è Boris Behncke, quale sia il suo rapporto con l’Etna e quello dei siciliani con lui, basterà sbirciare nel suo profilo Facebook. Boris posta il video della notte appena trascorsa sul vulcano («avrei tanto voluto metterci una mia musica ma non c’è stato il tempo») e in centinaia commentano, inviano foto, domandano. Grazia, per esempio: «wow... meglio di una telecronaca delle olimpiadi!». Annalisa: «beddu il nostro Boris... sempre puntuale». O ancora, Maria Rosaria: «Io sono di Salerno ma ormai catanese di adozione, inutile aggiungere che amo a muntagna, e quando ci sono questi spettacoli i miei amici e anche mia sorella si preoccupano e mi chiedono sempre “ma Boris cosa dice a riguardo?”. Ormai sei di famiglia!».
Il tedesco che spiega l’Etna ai catanesi è uno scienziato di 58 anni che lavora all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania e che dice di sé: «Sono un neo siculo». Un amore che arriva da lontano: «Ero bambino, papà e mamma giornalisti: quanti giornali in casa e c’era l’Etna che due, tre volte all’anno faceva parlare di sé anche in Germania. Ero affascinato dai vulcani, ma quello era diverso dagli altri: mai uguale a sé stesso». Boris arriva a Catania da studente in geologia. «Mi accolse con un’eruzione come quella di questi giorni: fenomeni brevi, intensi, spettacolari. E c’era anche una seconda colata. Fu come se mi dicesse: eccomi, ti aspettavo. Quella prima volta non fu facile, troppo emozionante. Lassù ho visto gente piangere per la felicità, altri dire: “debbo scendere, è troppo”. Per me era come se fosse finito un sogno, il vulcano era diventato realtà. Ho avuto bisogno di tempo per accettarlo». Ne passò tanto, dunque... «Sei mesi ed ero di nuovo qui, ma stavolta l’Etna era tornata una montagna come le altre. Quella dopo arrivai che l’eruzione era appena finita. E allora ho deciso: resto». Sono passati 25 anni. All’inizio, prima di essere assunto dall’Ingv nel 2005, Behncke si è sostenuto portando in giro gli escursionisti ed è così che ha conosciuto la moglie francese. «Ci siamo innamorati, lei mi ha seguito. Quando abbiamo messo su famiglia e scelto casa, ci siamo detti: l’importante è che dal balcone si veda l’Etna. Oggi ci sono nuvole, peccato». Boris parla e scrive in perfetto italiano, ma l’accento è siculo-teutonico. Se l’Etna erutta, lui annuncia: «A muntagna scassau». Sa essere autoironico: «Di minchiate ne dico». E non tutto gli va a genio di questa Sicilia: «È un rapporto complicato. Quando raccomando l’importanza della prevenzione sembra di parlare a vuoto: ci vuole pazienza, io ce la metto. E poi a munnizza (la spazzatura), è ovunque».
Boris chiama l’Etna la «Grande Mamma». «Lo è – dice —. È una donna siciliana di campagna, passa molto tempo in cucina a preparare. Le manca un ingrediente: esce a comprarlo, a volte dimentica il fuoco acceso e corre a spegnerlo. Altre diventa una giovane seducente e misteriosa. L’Etna ha diversi livelli di realtà». Così, quando il 16 febbraio si è risvegliata e i catanesi hanno avuto paura, Boris ha rassicurato: «Dunque, ragazze e ragazzi: NO, questo tipo di attività non ha alcun rapporto con i terremoti». «L’attività di questi giorni – spiega adesso – è normalissima: è accaduto 250 volte negli ultimi 45 anni. Oggi, però, viviamo connessi e abbiamo la memoria corta». Ed è anche in questo il perché della sua popolarità: «Non sono solo, molti giovani e bravi colleghi stanno imparando a comunicare. Provo a dare risposte in modo semplice, a rassicurare, ma anche a spiegare come ci si può proteggere da fenomeni che restano poco prevedibili: a essere attori, non solo vittime. Poi c’è il fatto che sono tedesco, chissà». Ecco, la Germania, cosa ne è rimasto? «Credo di esserne fuggito allora. Desideravo diventare più siciliano possibile. Mi sono riavvicinato: mi piace tornare, portare la famiglia. Ma casa mia è qui».