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 2021  febbraio 23 Martedì calendario

I parlamentari che guadagnano grazie alla politica


Non era un anno bisestile, non c’era ancora la pandemia e non ha subito alluvioni ma il 2019 per Paolo Zangrillo, fratello del celeberrimo Alberto medico di fiducia di Silvio Berlusconi, è stato un anno davvero sciagurato: 722.328 euro di buco. Colpa della politica. Direte: scherza? No, documenti alla mano, lo dice un’inchiesta delle Iene . Che hanno controllato chi, eletto in Parlamento, ci ha guadagnato o perso. Primo nella lista di chi andato in rosso è lui, primo di chi si è arricchito Matteo Renzi. Una hit-parade che riaccende polemiche sacrosante e mai chiuse: è giusto che un parlamentare possa fare altri lavori a pagamento?
Partiamo dall’inizio. Marco Occhipinti e Filippo Roma, per la trasmissione di Italia1 in onda stasera col titolo «Il redditometro delle Iene», hanno confrontato l’ultimo reddito imponibile presentato da cento parlamentari prima di entrare alla Camera o al Senato, chi tre e chi trent’anni fa, con la dichiarazione più recente, presentata nel 2020 per il 2019. Non una novità assoluta, vero. Come ricordano Tito Boeri e Sergio Rizzo in Riprendiamoci lo Stato, diversi studi avevano già dimostrato come vincere un seggio sia stato spesso seguito da una svolta economica e professionale. Per non dire di altre inchieste giornalistiche o addirittura di motivetti come quello di Claudio Villa su «L’onorevole Bricolle / deputato di Gioia del Colle», nato come «il modello dell’agitator» ma presto a suo agio «col suo bianco gilet / e le ghette ai suoi piè».
Certo è che il servizio tivù di stasera, visti i tempi, le chiusure, i ritardi nei rimborsi per il Covid-19 rischia di arroventare ulteriormente le polemiche sul dossier sul sistema previdenziale Ue da cui emerge come gli italiani siano i parlamentari più pagati d’Europa. La maggioranza dei deputati e senatori (più l’ex premier Giuseppe Conte) passati al setaccio dalle Iene , infatti, non hanno subito il tracollo di Paolo Zangrillo, che dai 820.799 euro del 2017, quando faceva il dirigente d’azienda prima di essere eletto con Forza Italia, è sceso nel 2019 a 98.471 euro. Anzi.
Se l’ex giornalista e conduttore tivù Gianluigi Paragone risulta precipitato dopo l’elezione col Movimento 5 Stelle di 321.734 euro, l’imprenditrice Michela Vittoria Brambilla di 242.173 euro e altri ancora per importi minori come Dario Franceschini, Renata Polverini o Francesco Boccia, molti altri hanno visto i loro redditi sollevarsi sensibilmente o addirittura schizzare all’insù. A partire da alcuni grillini catapultati su un seggio da posizioni assai meno prestigiose. Come la pasionaria No vax e teorica dei complotti planetari Sara Cunial, passata da imprenditrice agricola con «reddito imponibile 0» nel 2017 a 92.728 euro nel 2019, pari allo stipendio e voci varie parlamentari, tolti i soldi al partito. Come a zero, prima d’essere eletti, stavano, Roberto Fico, Anna Ascani, Luigi Di Maio. Che neppure risulta aver fatto la dichiarazione... Sconosciuti.
Nelle prime file nomi più o meno noti. Come l’avvocato Maria Elisabetta Alberti Casellati, che in ventisette anni da parlamentare ha visto il suo reddito salire (come presidente del Senato) di 187.956 euro. L’avvocato e senatore leghista Simone Pillon, benedetto tra il 2017 e 2019 di un’impennata di 202.601 euro. L’imprenditore farmaceutico, deputato e poi senatore e capogruppo democratico Andrea Marcucci, salito nel reddito dal ‘91 ad oggi di 354.910 euro. Fino all’avvocato ed ex ministro Giulia Bongiorno.
L’inchiesta in tv
L’analisi delle «Iene» Ma più di uno non ha voluto rispondere alle loro domande
Palermitana, famosa già a 27 anni nel collegio difensivo di Giulio Andreotti, prima di entrare alla Camera con Alleanza nazionale aveva nel 2005 un imponibile 173.534 euro. Nel 2019 era a 817.672. Cinque volte di più. Guai a chiederle però, come han fatto le Iene, se la politica in qualche modo c’entrasse con l’accelerazione: «Ho guadagnato solo ed esclusivamente sulla base del lavoro duro che ho fatto nei processi che poi mi hanno portato ulteriori clienti». Anzi, rivendica, è seconda dopo Renzi solo perché ha fatto la ministra nel governo giallo-verde: «Altrimenti non sarei seconda!» Nel 2018, infatti, era salita a un imponibile di 2.833.488. Traduzione: con la politica ci ha rimesso.
La stessa tesi, più o meno, di Giuseppe Conte. Parola di Rocco Casalino: l’ex premier è passato da 1.155.229 euro di imponibile nel 2018 a 158.474 del 2019, «con una perdita di 996.755». Marco Occhipinti e Filippo Roma però precisano: i confronti vanno fatti sull’ultimo anno in cui «l’avvocato del popolo» non aveva ruoli politici, cioè il 2017. Quando l’imponibile era di 370.314: un terzo dell’anno successivo, con sette mesi a Palazzo Chigi.
E torniamo alla polemica di queste settimane, dopo il volo nell’Arabia Saudita «rinascimentale», intorno alle conferenze di Matteo Renzi. Il quale, stando all’imponibile 2013 (98.961 euro, rivalutato a 101.533) prima che diventasse capo del governo, si è ritrovato con redditi nel 2019 per 1.037.851. Cioè 936.318 euro più che nell’anno di partenza. Una sgommata fortunata. Sulla quale le Iene dicono d’avere invano chiesto un commento. Zitto. Come zitti, davanti ai microfoni, hanno preferito rimanere finora Salvini, Conte, Marcucci e altri...
Resta il nodo di cui dicevamo: è giusto che un parlamentare pagato dai cittadini per fare il parlamentare faccia contemporaneamente altri lavori? Si dirà: da noi è sempre andata così. Vero. Non ovunque è così, però. In America, ad esempio, è impensabile. Basti leggere le regole sul sito ufficiale del Congresso: «A rappresentanti e senatori è vietato accettare onorari. L’accettazione di onorari da parte dei Rappresentanti è stata proibita a partire dall’ 1 gennaio 1991. L’accettazione di onorari da parte dei Senatori è stata vietata a partire dal 14 agosto 1991». Spiega il Congressional Institute: «Secondo il comitato etico della Camera, il limite al reddito da lavoro esterno per i membri del Congresso è stato nel 2019 di 28.440 dollari. Oltre a limitare l’importo che i membri possono guadagnare, ci sono anche restrizioni su come possono farlo». Esempio? «È vietato accettare pagamenti per i discorsi». Di più: poiché nel Congresso attuale «si stima che 50 senatori e 168 membri della Camera siano avvocati», si ricorda che ogni attività simile è proibita. «Ma è ovvio che sia così», ride Antonio Merlo, docente alla New York University e autore qualche anno fa di Mediocracy, un saggio duro sui sistemi di selezione della politica italiana, «L’idea che in America un parlamentare abbia dei clienti che lo pagano come avvocato finché è in carica è fuori dal mondo».