la Repubblica, 23 febbraio 2021
Povero Marte
Già infilzato da Pathfinder, Spirit, Curiosity, Opportunity… e ora pure da Perseverance, Marte ha definitivamente perso la potenza dello stupore come già accadde alla Luna quando i vari Apollo, con la testa rasata di Neil Armstrong, profanarono quelle di Ariosto, di Leopardi e del Dio d’Israele. Si sa ormai da tempo che su Marte non ci sono marziani, non c’è nessuno, non c’è niente, e non perché sia la preistoria, ma semmai il futuro della Terra. Se dunque Marte non è il Nuovo Mondo ma è già oggi il pianeta senza (più) vita che un giorno sarà la Terra, “lo sbarco dell’uomo”, che le missioni della Nasa stanno con “perseverance” preparando, sarà l’ennesimo surrogato dell’inimitabile Cristoforo Colombo, la patacca del grande esploratore che sbarcò a Guanahani, non indossando scafandri e tute, ma le vesti migliori e più sgargianti, gli abiti di cerimonia perché voleva presentarsi sfoggiando poteri vistosi, berretti rossi e coroncine di vetro, rappresentante d’una grande monarchia e d’una grande civiltà. E invece su Marte non ci sono nativi a cui i terrestri dovranno presentarsi per sedurli o conquistarli. E Marte non è più il dio della guerra, del tuono, della pioggia e della fertilità, il dio che diede il nome al mese pazzo e volubile che ogni anno porta via l’inverno dalla terra. L’avessero visto com’è, di sicuro gli antichi romani avrebbero cambiato il calendario perché Marte più che ai giardini di Marzo somiglia al “non essere” della filosofia. E non possiamo neppure dire che i marziani siamo noi, come piacerebbe a Flaiano e ai frequentatori di paradossi. Quando davvero arrivassero su Marte, gli uomini dovrebbero infatti vivere in un involucro, farsi macchine come Perseverance e dunque sostituire stabilmente i cinque sensi con cellule fotoelettriche, motori web, pattini d’aria, stivali a vapore, microprocessori per docce, lavabi e bidè, petti di pollo a espansione e panini virtuali, insomma roba da naufraghi più che da coloni, e più precisamente roba da tecno-naufraghi. E allora, non sapendo più cosa farcene dei marziani, li abbiamo derubricati a sinonimi di alterità, alle forme dello straniamento, alle figure retoriche della distanza, e marziani sono diventati via via i fascisti e i comunisti, i grandi campioni dello sport come Ronaldo e i criminali più feroci, come il boss Pasquale Fucito, “‘o marziano,” che viveva in una casa dove erano d’oro pure le maniglie. E in tanti, troppi, hanno detto e scritto di Mario Draghi che è “un marziano”, attribuendogli in questo modo un’estraneità totale ai miserabili terrestri della politica italiana. E Beppe Grillo, per segnalare che i suoi sciamannati hanno perso l’alterità e si sono omologati, ha scritto che «i Grillini (la maiuscola è sua) non sono più marziani». Ignazio Marino, l’ex sindaco di Roma, ha scritto un libro auto-celebrativo intitolato Un marziano a Roma. Alla fine, come si vede, l’assenza dei marziani fa molti più danni della loro presenza.