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 2021  febbraio 22 Lunedì calendario

Il Congo ostaggio delle milizie (e delle sue risorse)

Dal cielo, ammirando lo sterminato manto delle sue foreste, o dall’acqua, mentre si percorre in battello uno dei suoi laghi turchesi, appare in tutta la sua maestosità. Uno dei luoghi più belli al mondo, costellato di laghi, foreste lussureggianti, colline fertili e vulcani ancora attivi. Qui, a cavallo tra Repubblica Democratica del Congo, Rwanda e Uganda, si distende il Pardo nazionale Virunga, il più antico dell’Africa, patrimonio dell’Unesco, uno degli ultimi luoghi dove vivono i grandi gorilla di montagna. Eppure, il Kiwu del nord, la frangia orientale del Congo Rdc, dove hanno perso la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio ed un carabiniere della sua scorta durante un attacco da parte di una milizia locale, è una delle regioni più turbolente e martoriate del pianeta.
Qui, ormai da decenni, un coacervo di milizie armate, che arruolano con forza tra i loro ranghi migliaia di bambini, portano avanti traffici illegali, si fanno la guerra per il controllo delle ricche miniere di metalli preziosi, cassiterite e coltan, e non di rado ingaggiano scontri a fuoco con i caschi blu della Monusco, la più grande missione di peace keeping delle Nazioni Unite che faticosamente sta cercando di non far deragliar il gigante d’argilla dell’Africa in nuova e disastrosa guerra regionale.
La missione è una sfida titanica, quasi proibitiva: proteggere i civili e consolidare la pace. Ma i civili non si sentono affatto protetti. E la parola pace non fa parte del vocabolario di queste parti. Il Kiwu è la capitale mondiale degli stupri, commessi contro la popolazione inerme non solo dai ribelli, ma anche dagli stessi soldati dell’esercito congolese. Come se non bastasse da diversi anni il flagello del virus ebola fa la sua comparsa mietendo migliaia di vite. Mentre centinaia di migliaia di rifugiati vivono di stenti nei campi profughi intorno a Goma. Il Congo è vasto, vastissimo, quanto l’Europa occidentale, ma può contare solo su circa 1.300 chilometri di strade asfaltate. Ma è il Nord Est, il suo tasto dolente. La regione potenzialmente più ricca, e certamente quella più problematica. 
Venticinque anni di sanguinose guerre e guerriglie
Diversi conflitti sono stati combattuti intorno alla capitale della regione, Goma, e nelle foreste circostanti. Alcuni assunsero dimensioni così vaste, e videro le partecipazioni di così tanti Stati stranieri (fino a sette) da essere ricordati come Prima guerra mondiale africana (1996-1997), che pose fine al regime di Mobutu. E Seconda guerra mondiale africana (1998-2003). Solo in queste due guerre persero la vita oltre quattro milioni di civili, sterminati da stenti e malattie.
A dar fuoco alle polveri fu anche il genocidio in Rwanda e l’ingresso nel Paese di decine di migliaia di miliziani Hutu che si macchiarono delle peggiori atrocità duranti il genocidio del 1994 (oggi ricercati). Da allora, nonostante gli sforzi dell’Onu, alcuni miliziani Hutu vivono in clandestinità. Ed il Governo ruandese, finanzia e sostiene potenti milizie Tutsi. Poi altri gruppi armati che forgiano e disfano alleanze a seconda dell’interesse contingente. L’agognata pace, raggiunta nel 2003, durò davvero poco.
Proprio nel Kivu, dal 2004 si trascina a fasi alterne un conflitto strisciante contro le forze governative, che ha visto alternarsi diversi gruppi, spesso sostenuti dal Rwanda. Come la guerra condotta nel 2005-2008 dalle forze del generale Laurent Nkunda, le Cndp. Quattro anni dopo, un’altra formazione sostenuta dal Rwanda, l’M23, conquistava la capitale Goma per poi ritirarsi poco dopo. Certo, il ricco e piccolo Rwanda è uno scomodo vicino per il gigante dell’Africa, un Paese che pare anch’esso allergico alla democrazia. Non vi è mai stata elezione che non sia stata contestata. Anche le ultime sono state dichiarate da molti osservatori una frode commessa sotto la luce del sole. Un voto che solo apparentemente ha messo fine al regno di Joseph Kabila, salito al potere nel gennaio 2001, dopo la morte del padre Laurent, e rimastoci ufficialmente fino al gennaio 2019.
In questa realtà già difficile, il Kiwu appare troppo ricco per non cadere nelle mire di milizie e paesi pronti a sfruttarne i giacimenti. Nelle foreste intorno a Goma e ad altre città si nascondono almeno 100 milizie che non esitano a sfruttare i civili impiegati come schivi nelle miniere. Nel 2019 il 40% del Coltan, il minerale di da cui si ricava il Tantalio, utilizzato negli smartphone e nelle batterie dei laptop, è stato estratto in Congo. La maggior parte viene poi contrabbandato in Rwanda.
Lo stesso dicasi della pregiata cassiterite del Congo, minerale da cui si ricava lo stagno. Una situazione ingestibile. Troppo, e da troppo tempo. In cui si stanno inserendo altre agguerrite milizie provenienti dalla vicina Uganda. Pur di evitare il peggio, di recente Paul Kagame e Félix Tshisekedi, i presidenti del Rwanda e del Congo, si sono accordati per cooperare nello sforzo di riportare la pace e la sicurezza nel Congo orientale. Ma non è facile controllare capillarmente la fitta foresta pluviale.
La silenziosa strage dei ranger del Virunga Park
Lo sanno bene i 700 ranger del Virunga National Park. Duecento di loro hanno perso la vita negli ultimi 10 anni. Quasi tutti attaccati da gruppi di ribelli, che li rapiscono per chiedere il riscatto o li attaccano per continuare a condurre i loro traffici. Gli ultimi soltanto un mese fa; sei ranger caduti in un’imboscata mentre stavano pattugliando a piedi una zona frequentata da gorilla di montagna. I funzionari hanno puntato il dito contro i ribelli Mai Mai, una delle formazioni più spietate.
Lo scorso aprile altri 13 ranger furono uccisi in un’altra imboscata.Questo è la Repubblica Democratica del Congo, il cuore di Tenebra dell’Africa, lo Stato potenzialmente più ricco di minerali (produce i due terzi del cobalto al mondo, impiegato per le batterie delle auto elettriche) e foreste, ma il più instabile. Questo è il Paese dove, dal 2017, era arrivato l’ambasciatore Luca Attanasio, un uomo impegnato anche sul fronte umanitario, insignito del premio Nassirya per la Pace. Un uomo capace di comprenderne la complessità di un Paese così problematico. E disponibile ad offrire il suo contributo.