Corriere della Sera, 22 febbraio 2021
Su Federico Fellini e Giulietta Masina
Cent’anni fa nasceva a San Giorgio di Piano, nel Bolognese, Giulietta Masina, incantevole artista, donna fortissima e moglie più che generosa, ma soprattutto innamoratissima del suo Federico Fellini. È a lei che ho pensato quando ho letto della morte di Rina Lattes, novantenne, vedova da due mesi del marito Nedo Fiano, superstite e testimone dell’Olocausto. Neanche ventiquattr’ore dopo, l’agenzia Ansa batteva la storia dei coniugi Derek e Margareth Firth, 91enni, scomparsi per il Covid a tre giorni di distanza l’uno dall’altra in un ospedale alle porte di Manchester: un’istantanea della figlia li ritrae in letti vicini, che si tengono per mano. Come loro ce ne sono stati tantissimi: Giorgio Amendola e Germaine Lecocq, Febo Conti e Italia Vaniglio, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Coppie legate da un filo invisibile e saldissimo che si spezza solo davanti alla morte. Eppure queste storie, in mesi di nebbia e incertezza come quelli che stiamo vivendo, ci lasciano una scia luminosa, alla quale dovremmo agganciarci stringendo forte la mano di chi amiamo, nella buona e nella cattiva sorte, nelle turbolenze e nelle giornate limpide. Per diventare infine quercia e tiglio, uniti per sempre, come Filemone e Bauci. Perché l’amore che ci resta, dopo un anno rubato dal Covid, è l’unico antidoto contro ogni dolore. Lo aveva capito Irène Némirovsky, che nell’incipit di uno dei suoi romanzi più struggenti, I doni della vita, scritto durante la persecuzione nazista e stampato postumo nel 1947, comincia con queste parole: «Erano insieme: erano felici». Parla di Pierre e Agnès, i protagonisti di una storia dove non c’è posto per la sconfitta, ma ogni cosa è illuminata dai loro sentimenti. Federico Fellini, e così torniamo alla nostra Giulietta, a Oriana Fallaci disse: «È facile spiegare perché la amo. Ho bisogno di lei. È per quella sua aria dignitosa e perbene, e perché è fatta di acciaio, ottiene sempre quello che vuole. Io, vedi, sono proprio il contrario». Quando nel 1993 ritirò l’Oscar alla carriera, l’anno in cui morì, nel momento dei ringraziamenti il regista chiese al pubblico di poter fare un solo nome: «Permettetemi di dire grazie a un’attrice che è anche mia moglie. Grazie carissima Giulietta e per favore smetti di piangere». L’ha presentata riconoscendole il suo ruolo nel mondo – è un’attrice – e quello nel «suo» mondo – mia moglie.