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 2021  febbraio 22 Lunedì calendario

Toccherà all’Italia guidare in Iraq la missione Nato senza americani

Una missione Nato ma praticamente senza americani: quattromila militari europei e canadesi, incaricati di coordinare e addestrare le truppe che in Iraq combattono la rinascita dello Stato Islamico. E allo stesso tempo frenare con il loro schieramento l’influenza che l’Iran fa sentire sulle autorità di Baghdad. Insomma, una spedizione inedita e doppiamente difficile, destinata ad avere l’Italia come protagonista. Perché il nostro sarà il contingente più numeroso e perché, quando raggiungerà lo schieramento completo, dovrebbe passare tutta sotto comando italiano.
In pratica, la coalizione internazionale creata per sconfiggere l’Isis rinascerà cambiando natura: passerà dalla gestione statunitense a quella atlantica, con un potenziamento dei ranghi fornito interamente dai paesi europei. La vecchia operazione “Inherent Resolve” di fatto è stata sospesa dopo l’uccisione di Qasem Soleimani, il generalissimo delle brigate speciali dei Guardiani della Rivoluzione iraniani: gran parte del personale occidentale ha lasciato l’Iraq, mantenendo nuclei ridotti solo nelle città del Kurdistan. Non gli italiani, che hanno proseguito l’attività di addestramento e sostegno tecnico nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia. Oltre ai corsi tenuti dall’Esercito per i peshmerga curdi a Erbil, sono andati avanti quelli dei carabinieri nella capitale per formare i reparti scelti della polizia e soprattutto quelli delle forze speciali per istruire sul campo i commandos iracheni: l’avanguardia della lotta contro i jihadisti.
Nell’ultimo anno, il ministro Lorenzo Guerini è stato quattro volte in Iraq e nel vertice atlantico di tre giorni fa ha preso la parola subito dopo il nuovo responsabile del Pentagono, Lloyd Austin. Le sue raccomandazioni hanno trovato il consenso degli alleati, inclusa la candidatura italiana a prendere il comando della nuova missione, sostituendo i danesi quando lo schieramento sarà pienamente operativo.
Quello ottenuto da Guerini è un riconoscimento alle capacità della nostra Difesa e all’impegno sulla linea della Nato, che arriva subito dopo l’insediamento del governo Draghi e va a marcare il perimetro dell’interesse nazionale illustrato dal premier: l’Iraq è il confine orientale del “Mediterraneo allargato” dove si gioca la partita chiave per le risorse energetiche e per la sicurezza dal terrorismo islamico.
I piani devono ancora venire dettagliati. Nel 2021 i militari italiani in Iraq e Kuwait dovrebbero restare nel numero già programmato di 1.100 uomini e donne ma modificheranno l’attività. Una parte si dedicherà fare da consulente ai vertici delle forze armate di Baghdad, per aiutarli a pianificare le strategie contro l’Isis. Di settimana in settimana, gli attacchi jihadisti stanno aumentando: dai rifugi nelle montagne a ridosso della Siria, i raid si spingono sempre più a Sud e sono ripresi anche gli attentati nell’area della capitale. Per questo è urgente migliorare la risposta sul campo e perfezionare la preparazione delle unità irachene. L’altro elemento decisivo è offrire strumenti hi-tech per la raccolta d’informazioni: un compito in cui il contributo statunitense resterà determinante, ma dove crescerà il ruolo europeo.
L’Italia ad esempio sta sperimentando nel Kurdistan un nuovo velivolo – il bimotore Leonardo C27 Jedi – che nei voli notturni intercetta le conversazioni radio dei jihadisti. E in Kuwait schiera una squadriglia da ricognizione ad altissima tecnologia con caccia Eurofighter e droni Predator. Nelle prossime settimane saranno affiancati da una batteria di missili terra-aria Samp-T, uno dei sistemi più sofisticati per proteggere l’Emirato in caso di tensioni con Teheran.
Al momento, non si ritiene che la nuova missione possa comportare il rischio di rappresaglie da parte del Califfato. I capi del movimento fondamentalista conoscono da tempo il ruolo che il nostro Paese svolge in Iraq: nel novembre 2019 cinque incursori del Col Moschin e del Goi sono stati feriti da un ordigno mentre accompagnavano i commandos iracheni da loro addestrati. Una di quelle attività “spalla a spalla” in cui non è previsto l’impiego degli italiani in azioni dirette ma che comunque li espongono a gravi pericoli. Quanto agli iraniani, il governo di Baghdad è convinto che i soldati europei e in particolar modo quelli italiani non siano percepiti come nemici da Teheran contrariamente a quello che accade nei confronti degli americani – e quindi possano contribuire a consolidare l’autorità delle istituzioni nazionali, sempre più spesso minacciata dalle milizie filo-sciite. Sabato la base Usa di Balad è stata attaccata con razzi, nel tentativo di innescare una spirale di ritorsioni: è il secondo raid in una settimana. In un clima del genere, i militari italiani dovranno unire diplomazia e determinazione, efficienza e umanità: un equilibrio in cui hanno spesso dimostrato di essere maestri.