Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  febbraio 22 Lunedì calendario

Il punto sulla pandemia fatto dagli italiani


È passato un anno da quando abbiamo incontrato (e ci siamo scontrati con) il nemico invisibile che incombe su di noi. Il Virus. Una minaccia insidiosa, molto più di quanto si potesse immaginare. Per questo, conviene valutare come sia cambiato il nostro sentimento, ricostruendo l’evoluzione degli atteggiamenti attraverso i sondaggi condotti da Demos. Fino a pochi giorni fa.
La preoccupazione, anzitutto, che appare stabilmente elevata. Dopo un primo momento di sotto-valutazione. Quando non eravamo preparati all’avvento della “paura”. Impossibile, d’altra parte, immaginare l’in-immaginabile. Ma, in poche settimane, l’inquietudine ha coinvolto oltre il 90% dei cittadini, per calare, lentamente, nei mesi successivi, fino a scendere appena sotto l’80%, in giugno. Quando ci si è illusi che la pandemia fosse destinata a finire presto. Una speranza durata poco, visto che da ottobre la paura ha ripreso a salire. Insieme al contagio. E alle vittime. Negli ultimi mesi, l’ampiezza dei cittadini preoccupati ha quasi raggiunto il 90%. Per la precisione: l’87%. Parallelamente, sono cambiate le aspettative. Le previsioni. E oggi sono pochissimi quanti credono – o meglio: vogliono credere – che il Virus se ne andrà fra poco. Tempo: qualche mese. Meno di 2 italiani su 10. Il livello più ridotto da quando il Covid è arrivato tra noi. Mentre quasi tutti (circa 8 su 10) pensano che dovremo resistere ancora a lungo, per esistere. Almeno un anno. E oltre. Nel frattempo, ci stiamo abituando – e rassegnando – a rinunciare alle nostre libertà. Ai nostri diritti.
E accettiamo che lo Stato riduca gli spazi della democrazia. Lo pensano 7 cittadini su 10 fra coloro che si sentono “molto preoccupati”. Così, come abbiamo rilevato altre volte su Repubblica, il Virus ha contaminato la democrazia. Ci ha convinti a sacrificare il primato dei diritti in nome della sicurezza. O meglio, come risposta all’in-sicurezza. in questo modo, si sta affermando una “democrazia virale”. Nella quale l’opposizione diventa un vizio, quasi un’anomalia. E la maggioranza al governo comprende (quasi) tutti i partiti. Una democrazia “accentrata” intorno al Capo. In questi tempi, quasi un “salvatore”. Comunque: un riferimento necessario. Soprattutto se non è un politico di professione. Ma un (cosiddetto) “tecnico”. Come Draghi, oggi. E Conte, fino a ieri. In questa fase, infatti, entrambi dispongono di un consenso elevatissimo. Draghi: sopra il 70%. Mentre Conte è stato “sfiduciato” in Parlamento, ma non fra i cittadini, presso i quali mantiene un consenso (risalito) al 65%.
Parallelamente, i partiti sono divenuti un “participio passato”. Sono “partiti”. E non ritornano, se non negando di esserlo. Dichiarandosi non-partiti.
Anche per questo il Parlamento conta meno e le scelte vengono fatte, sempre più spesso, per Decreto dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Ormai siamo entrati, da tempo, “nel tempo” del DPCM.
Come spiegano Fabio Bordignon e Alice Securo, nell’anno del Covid, da febbraio 2020 ad oggi, è percezione diffusa, fra gli italiani, che la realtà intorno a noi si stia deteriorando. A ogni livello. Anzitutto, sul piano economico e del lavoro. E, quindi, in ambito politico. Ma si percepisce anche l’indebolirsi delle relazioni personali. D’altronde, imporre il “distanziamento sociale” permette di ridurre lo spazio alla diffusione del Virus. Ma inaridisce “la società” e, agli occhi di una larga parte di cittadini, danneggia la scuola. Il principale luogo di formazione e di socialità per i giovani. Dove si costruisce il futuro del Paese. E questo è il problema di fondo, in questo momento. La tentazione di fermare il tempo. Rinunciare al futuro. Come fanno quegli italiani, quasi 8 su 10, che non riescono a vedere quando finirà il contagio. E, per questo, contribuiscono a produrre e ri-produrre un tempo sospeso, nel quale è difficile guardare avanti. Al futuro. Come al passato. Perché siamo inchiodati in un eterno presente.
Con due soli riferimenti nei quali con-fidare. La famiglia e l’Europa. Meglio ancora: l’Unione Europea. La famiglia: da sempre il primo sostegno, per gli italiani. Qui e ora. Ieri e oggi. Prima, durante e – vogliamo credere – anche dopo il Virus.
L’Unione Europea: dopo un periodo di distacco, è tornata ad essere una garanzia. Fonte di risorse, necessarie quanto ampie. Ma soprattutto: il principale canale per guardare oltre. Oltre i confini di casa nostra. Oltre il presente senza futuro che ci opprime da un anno. La figura di Draghi è stata accolta con speranza, in Italia, anche – e forse soprattutto – per questo. Perché ci proietta oltre in confini nazionali. In Europa. E anche oltre. Oltre il presente in-finito nel quale rischiamo perderci. Così, in questo tempo sospeso, per guardare e andare oltre, navighiamo a vista. Ma con due bussole sicure.