il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2021
Perché in Texas si congela
In Italia. Il freddo di metà febbraio è stato breve e ordinario. Per quattro giorni le temperature sono scese a 2-5 °C sotto media, ma senza neanche toccare i -10 °C di minima sulle pianure del Nord, lasciando ampiamente insuperati i casi di febbraio 2012, gennaio 2017 e febbraio 2018. Peraltro da quest’ultimo episodio non c’erano state altre ondate di gelo significativo, e questa è la vera anomalia: a Trieste in due secoli di osservazioni non si era mai visto un intervallo di tre anni senza nemmeno un valore sottozero (stavolta si è arrivati a -4 °C), ma in questi tempi di riscaldamento globale gli episodi freddi, quando avvengono, ci stupiscono sempre di più. Localmente però qualche elemento inusuale c’è stato, come le nevicate che hanno imbiancato le coste ioniche in Salento e Calabria, e le temperature glaciali intorno al Brennero, -28,3 °C domenica scorsa a 1440 metri in Val di Vizze, record in 40 anni di misure. In settimana da Ovest è giunta di colpo aria tiepida, già martedì c’erano 13 °C a 1600 m sulle Alpi occidentali e, mentre il maestrale spingeva ceneri e lapilli eruttati dall’Etna su Catania e dintorni, un libeccio umido ingrigiva i cieli liguri-tirrenici scaricando fino a 80 mm d’acqua in tre giorni alle spalle di Pegli e Sestri Levante. L’ambiente ha occupato un posto centrale nel discorso di Draghi al Senato, e speriamo che le dichiarazioni si traducano presto in tonnellate di CO2 e di rifiuti risparmiate, gigawattora di energia rinnovabile, ed ettari di suolo sottratti a nuova cementificazione.
Nel mondo. Anche su gran parte d’Europa il gelo è stato presto rimpiazzato da aria più calda: -17 °C domenica mattina all’aeroporto franco-svizzero di Basilea-Mulhouse (valore più basso dal 2012 sulle pianure francesi), e ben 24 °C già mercoledì ai piedi dei Pirenei (foehn). Intanto il freddo si ritirava tra Grecia e Turchia, coprendo Atene con 20 cm di neve come non era più accaduto dal 2008. Ben più raro e dannoso l’episodio invernale che ha investito gli Stati Uniti – rientrati ufficialmente venerdì nell’Accordo di Parigi – penetrando dal Midwest al Texas e fin sul Messico con temperature quasi 30 °C sotto norma. Minime di -25,6 °C a Oklahoma City e -18,9 °C a Dallas, seconde solo ai record del 1899 (rispettivamente -30 °C e -22 °C), traffico paralizzato da ghiaccio e neve che ha coperto il 73% del suolo statunitense – mai accaduto dall’inizio di questa statistica nel 2003 – imbiancando tra tuoni e fulmini perfino le spiagge di Galveston, sul Golfo del Messico; centinaia di incidenti stradali e black-out che hanno lasciato al buio e al freddo oltre quattro milioni di texani. Come non bastasse, due tornado hanno colpito Georgia e North Carolina (3 vittime). Mentre a lungo termine gli inverni boreali divengono in media sempre più miti (1,2 °C di aumento termico in mezzo secolo), come ricorda il climatologo Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute for Climate Impact Research un episodio freddo così sorprendente potrebbe inquadrarsi nell’alterazione delle correnti atmosferiche dovuta al rapido riscaldamento dell’Artico e alla riduzione della banchisa, elementi che disturbano la depressione colma d’aria fredda che ruota intorno al Polo Nord, ovvero il vortice polare: questa sorta di anello gelido, indebolito, lascia più facilmente “straripare” verso Sud il freddo che però – per quanto estremo a livello locale – non riesce a controbilanciare la tendenza complessiva all’intiepidirsi degli inverni. Anche perché, parallelamente a queste vigorose incursioni artiche, dai tropici risalgono verso Nord onde calde fin più eccezionali, come quella che nei giorni scorsi ha fatto registrare nuovi record di calore per febbraio in Iraq (34 °C) e Uzbekistan (32 °C). Estremi dei quali si parla meno.