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 2021  febbraio 21 Domenica calendario

Intervista al gallerista Fabrizio Moretti

Fabrizio Moretti è il fondatore della Galleria Moretti, con sede prima a Firenze, poi a Londra e più recentemente a Monaco conosciuta a livello internazionale, in particolare per l’arte antica. Nel 2019 ha esposto la sua collezione a Villa Sauber a Monaco sotto il patrocinio della Principessa Carolina di Hannover e l’ha dedicata al suo amato padre Alfredo.
Ma un mercante d’arte può davvero essere un collezionista quando i suoi pezzi vanno e vengono in continuazione?
«Tutto nella vita è in prestito, quindi verrà il momento di restituire. È bello essere attaccati alle cose, ma non tanto da diventarne vittima. Bisogna essere attaccati alle persone, ai pensieri, alle idee. Il mio primo amore sono i quadri degli antichi maestri, di cui mi occupo e che colleziono, soprattutto del XIV XV e XVI secolo».
Si occupa anche di arte più recente?
«Sì. A vent’anni non mi piaceva l’arte moderna e contemporanea, ma viaggiare, visitare i musei e girare per le case d’aste ti apre la mente. È una cosa bella della vita, ogni giorno impari e capisci meglio. Così ho iniziato ad apprezzare e acquistare arte contemporanea».
Come decide cosa comprare?
«Tutte le opere devono avere tre cose in comune: amo la sofferenza nei dipinti, mi piacciono i colori, quindi dipinti molto potenti e colorati. E mi piace la passione. Nella pittura contemporanea di Jenny Saville, ad esempio, trovo la stessa passione e introspezione di Guido Cagnaccio e Guido Reni».
La pandemia ha colpito il mondo dell’arte?
«Drasticamente, da un anno non si fanno le fiere d’arte dove si realizza la maggior parte del fatturato delle gallerie. Ci sono molte vendite online, è un’alternativa, ma quando acquisti un dipinto devi toccarlo, vederlo. Devi farci l’amore. Dopo la pandemia spero che le persone tornino a visitare e passare tempo nelle gallerie. Compri arte perché la ami, non come investimento».
Perché ha così tanto successo a livello internazionale?
«Non credo di averne così tanto. La fortuna è importante nella vita e sono stato fortunato a trovare buoni dipinti. Il mercato degli antichi maestri è ancora sottovalutato. Recentemente Sotheby’s ha venduto un Botticelli a un’asta pubblica per un prezzo record, 92 milioni di dollari, ma quel dipinto era il Dipinto. In proporzione ai prezzi dell’arte moderna e contemporanea avrebbe dovuto essere venduto per 200-250 milioni di dollari. Stiamo parlando dell’ultimo ritratto di Botticelli in mano a privati. Cosa vuoi di più? Ma sfortunatamente è un settore di nicchia. È un problema di cultura. Questo è il peggior momento culturale degli ultimi 50 anni».
Il peggiore?
«Sì. I giovani non sanno come comportarsi. La nuova generazione è volgare, ignorante. All’inizio del XX secolo le persone, anche più umili, erano molto istruite e rispettose. Oggi i ragazzi, ricchi o poveri, non conoscono il rispetto. Non sono interessati all’arte, perché i loro genitori e lo Stato non gliela insegnano. In Italia il Ministro Bonisoli voleva cancellare la storia dell’arte dal programma scolastico. Come è possibile in un Paese come l’Italia, il cui core business è l’arte? I miei clienti hanno tutti dai 75 agli 85 anni e non c’è ricambio. Nessuno della mia età, 44 anni, compra un dipinto antico. Questo è un problema educativo. L’istruzione è fondamentale, solo così puoi sperare di avere una generazione migliore in futuro. In Italia negli Anni ’80 la mia generazione è stata rovinata dalla tv, che era così volgare da formare una generazione volgare».
Cosa le ha insegnato suo padre Alfredo?
«I principi della vita. Veniva da una famiglia di agricoltori, mi ha insegnato il rispetto per la semplicità e l’amore per la vita. Una delle ultime cose che mi ha detto è stata: "Vivere come mercante d’arte, se sei intelligente, ti dà un modo per essere libero. Vivere senza un capo e occuparsi delle cose che ami è un lusso". Aveva ragione».
Come s’impara a riconoscere l’autenticità di un dipinto?
«Studiando, andando nei musei, alle fiere... All’inizio andavo tutti i giorni con mio padre dai restauratori per vedere i quadri smontati e capire la consistenza di un dipinto su tavola o tela. Un dipinto falso ha sempre qualcosa che non ti convince. "Non canta". A volte mi chiedono dove trovo i miei quadri. E io non lo so, perché la maggior parte delle volte sono stati i quadri a trovarmi».
Quanto conta la moda?
«La moda è sempre un argomento da considerare, ma il tempo è il giudice perfetto. Van Gogh aveva paura che i suoi dipinti non avrebbero avuto successo, ma guarda ora! Nel Medioevo Giotto era una superstar. Fu il primo pittore imprenditore perché aveva laboratori in tutta Italia con molti assistenti. Dipinti firmati da Giotto ma realizzati dalla bottega, come accade oggi, ad esempio nello studio di Jeff Koons. Non tocca niente, lo studio fa il lavoro vero e tu lo compri come suo. Nel mondo degli antichi maestri ogni grande artista aveva una bottega, l’importante è capire quanto lavoro svolgevano personalmente. Botticelli ha avuto ottimi assistenti come Filippo Lippi. Per Verrocchio lavoravano Leonardo, Botticelli, Perugino... Averne di assistenti così!».
Mai avuto un Leonardo, un Michelangelo o un Raffaello?
«Sì, una tavola di Michelangelo che risale all’epoca in cui aveva 12 o 13 anni e lavorava nella bottega del Ghirlandaio. Il tormento di Sant’Antonio, ora è al Kimbell Museum of Art. Mi è appartenuta per poco tempo: l’ho comprata, e poi venduta alla Kimbell».
Preferisce che i suoi quadri finiscano a un collezionista o a un museo?
«I dipinti dovrebbero essere sempre a disposizione del pubblico, quindi il mio cuore vorrebbe che fossero in un museo, ma solo se sono abbastanza importanti da colmare una lacuna. Gli altri preferisco venderli e dare i soldi alle istituzioni pubbliche che hanno bisogno d’aiuto per la ricerca sulle malattie, o ai giovani che hanno bisogno di trovare un lavoro nel mondo dell’arte».
Le sue migliori scoperte?
«Bisogna tenersele per sé, proprio come non si parla mai di una relazione con una donna: così fa un gentiluomo. La scoperta che desidero fare deve ancora venire. È nel futuro». 
(traduzione di Carla Reschia)