Specchio, 21 febbraio 2021
Dal dna del mostro di Udine riparte la caccia a Ignoto 1
"Davanti al sedile anteriore destro si repertano un profilattico scartocciato contenente materiale semiliquido biancastro" e "su entrambi i sedili anteriori … alcuni capelli, di colore bruno… Un capello di colore biondo si rileva sul golf posto sul ripiano dietro il sedile posteriore…". Un preservativo usato, qualche capello e un mozzicone di sigaretta: lì è impressa l’impronta genetica del serial killer di Udine, autore di almeno quattro dei tredici omicidi che per quasi vent’anni (1971-1989) hanno terrorizzato il Friuli. Poi si è fermato, non ha lasciato più corpi seminudi in fondo agli sterrati con quell’incisione longitudinale dall’addome al pube, saltando l’ombelico, come macabra firma. Un taglio tanto netto da far ipotizzare come l’autore addirittura potesse essere un insospettabile medico che trasformava il bisturi da salva vite ad arma mortale. Era stato il caso di Maria Carla Bellone, 19 anni, prostituta che faceva uso di eroina, uccisa nella notte del 15 febbraio 1980. Un assistente di polizia la trovò morta sotto un filare di gelsi nella campagna alla periferia di Pradamano, vicino al torrente Torre. Maria Carla aveva iniziato a vendere il proprio corpo dall’estate prima. Era lì, priva degli indumenti intimi, sgozzata. E l’ombra del rito: "La malcapitata presenta anche un taglio longitudinale (stomaco e addome), effettuato con arnese affilatissimo e da persona che dimostra perizia sanitaria; (…) nella regione anteriore, un’unica ferita da taglio longitudinale… passante alla destra dell’ombelico". Che sia davvero la firma del serial killer?
Così nel marzo del 2019 Barbara Bellone, sorella di Maria Carla, e Nicolino, fratello di Maria Luisa Bernardo uccisa nel settembre 1976, avevano chiesto di rivedere il caso ed esaminare quei reperti con apparecchiature scientifiche impensabili all’epoca degli omicidi. In questo mezzo secolo, l’indagine si è riaperta già diverse volte ma mai la procura aveva analizzato e identificato queste impronte genetiche. Ad esempio, analoghe ricerche compiute su un anello d’argento e un fermacapelli in plastica indossati da Marina Lepre, altra vittima, avevano portato a un nulla di fatto. "Purtroppo non rilevai – ricorda ora il generale Luciano Garofano, incaricato dai magistrati – alcun materiale biologico. Sugli oggetti della povera Marina non c’era il dna dell’assassino".
L’istanza di riapertura, presentata dall’avvocato Federica Tosel, viene accolta dall’allora procuratore capo di Udine Antonio De Nicolo. I Ris di Parma con Giampietro Lago centrano l’obiettivo: individuando due diversi dna maschili. Nel caso Bernardo sul preservativo risulta un dna maschile e uno femminile (probabilmente della vittima). Stesso esito dal mozzicone del caso Bellone: un dna di uomo e uno di donna. "Purtroppo non sono profili completi – spiega Claudia Danelon, procuratore reggente a Udine, che da ottobre ha sostituito De Nicolo – non abbiamo una sequenza perfetta. Sono dati quindi difficilmente utili per una comparazione ma che ci potrebbero aiutare a escludere sospetti". In altre parole di fronte a un possibile mostro si potrà avere una compatibilità genetica ma non la certezza che si tratti del dna dell’assassino. Così, seppur con qualche difficoltà, dallo scorso novembre le provette sono disponibili per il confronto con i codici genetici di potenziali assassini e maniaci sospetti che all’epoca frequentavano Udine e le sue campagne.
Permangono però altre incognite. Ad esempio, sui reperti sono stati isolate anche due sequenze femminili che appartengono con ogni probabilità alle vittime. Il problema è che di quest’ultime non si era provveduto a conservare il dna. E quindi o si riesumano i corpi o si rintracciano figli oppure sarà difficile identificare le tracce, dato che l’impronta di fratelli o sorelle – quelli che ad esempio hanno richiesto l’apertura del caso - non assicura un risultato certo.
Intanto si procede con le sequenze maschili. Il primo indiziato era un uomo che potrebbe essere l’ultimo cliente della Bernardo. Ormai avanti negli anni, il sospetto è stato convocato dagli investigatori per il prelievo, ma l’esame tra il suo dna e quello rinvenuto sul preservativo ha dato esito negativo. Non è lui il serial killer. Partire da zero in un caso così complesso lascia poche speranze di successo. Si dovrebbe predisporre una lista di soggetti che potenzialmente potrebbero essere coinvolti nei delitti per poi individuarli, capire se sono ancora in vita, rintracciarli e comparare le impronte genetiche. Non è affatto poi detto che la presenza del dna sul luogo del delitto significhi automaticamente una prova. Come il primo indiziato, la traccia genetica potrebbe esser stata lasciata da un cliente. Un lavoro complesso, che potrebbe durare mesi, sottraendo risorse alle investigazioni su casi attuali.
Ma gli investigatori non si perdono d’animo. Del resto, i tempi sono cambiati. In quegli anni le prostitute erano socialmente meno vittime degli altri, ancor meno – ci sarebbe da dire con qualche amarezza e realismo - di oggi. Che poi alcune di loro fossero precipitate in quel destino infame dalla normalità era un dettaglio che non aveva fatto empatizzare più di tanto l’opinione pubblica. Si pensi a Wilma Ghin, 18 anni, uccisa tra l’l e il 2 marzo 1980: la più giovane vittima nemmeno si prostituiva. Oppure la stessa Maria Luisa Bernardo, il cui fratello Nicolino chiede verità. Fu uccisa il 21 novembre 1976 a Cividale, ad appena 26 anni. Era sì una prostituta abituale ma solo da quando il marito si era malato ai reni e aveva bisogno di cure. In famiglia, con due figlioletti da crescere, servivano soldi e così Maria Luisa si era data da fare come poteva.
Ogni sera, sceglieva uno dei viali vicini alla stazione per vendere il proprio corpo. Nel 1971 proprio in quel quartiere era stata trovata senza vita per strada anche la coetanea Irene Belletti, ammazzata con diverse coltellate alla schiena, ma Maria Luisa non doveva essersi impressionata più di tanto. Il suo corpo venne scoperto in un campo di grano, poco distante da dove tre anni dopo giacerà il cadavere di Jacquline Brechbuhler, 46 anni, uccisa con 22 coltellate. Anche sulla Brechbuhler erano impressi quelle ferite geometriche, la firma del mostro: dalle regioni pettorali al pube solcavano il corpo tre tagli longitudinali paralleli e uno obliquo. La vittima presentava le mani legate dietro la schiena ed era priva di mutande. Un rito identico per la prostituta Luana Giamporcaro, di soli 22 anni, giovane "psichicamente debole" sgozzata il 24 gennaio 1983. Anche qui la ragazza presentava due tagli longitudinali dal torace al pube. Anche qui le mani erano legate dietro la schiena con la cinghia della borsetta. Anche qui era priva di indumenti intimi. Esattamente come un’altra prostituta di 41 anni, Aurelia Januschewitz, uccisa per scannamento nel marzo del 1985. E il solito rito: il corpo, privo di mutande, presenta le mani legate dietro la schiena, dalle regioni pettorali al pube ecco i tre tagli longitudinali paralleli e uno obliquo. Quattro ferite da taglio confluenti anche per Marina Lepre, uccisa nel febbraio del 1989 con l’addome segnato da questi tagli trasversali, lunghi qualche centimetro.
Il fatto che le prede vivessero tutte nella marginalità allontanava la paura collettiva, faceva percepire meno il pericolo, e ha fatto dimenticare troppo in fretta questo serial killer. Eppure questo assassino non si fermava mai, replicando un rito di morte quasi sempre identico. Colpiva sempre nello "stesso periodo dell’anno – osservava Carlo Moreschi nella sua consulenza medico-legale del dicembre 1995 – con omicidi avvenuti nelle notti del fine settimana e i corpi ritrovati in posti analoghi. In nessun caso poi sono stati riscontrati segni di rapporti sessuali recenti. (…) In tre casi mancano le mutande delle vittime, in due i reggiseni. Le ferite mortali sono ferite da taglio nel collo e sono sempre presenti ferite da taglio nella regione anteriore del tronco che assumono un significato ‘rituale’. Infatti gli indumenti erano o aperti o sollevati a scoprire la parte; in tre casi le ferite nell’addome sono longitudinali, dal torace al pube".
Moreschi concludeva senza esitare: "Esistono elementi di giudizio medico-legali sia di tipo traumatologico sia di tipo circostanziale, in particolare elemento di giudizio peculiare è rappresentato dalle ferite longitudinali toraco-addominali, che depongono per il fatto che i primi tre omicidi, simili l’uno all’altro, siano opera di uno stesso autore. Inoltre, gli stessi elementi di giudizio, sono indicativi del fatto che anche il quarto caso (Lepre) sia opera dello stesso autore". Ma di chi potrebbe trattarsi? Negli annali di criminologia chi elimina prostitute finisce nei cosiddetti omicidi per pulizia morale anche se alla base di tali omicidi possono rivelarsi problemi di identità psicosessuale. Ad esempio Abel e Furlan furono certamente serial killer "missionari" che volevano punire prostitute, omosessuali e senza fissa dimora. Proprio come quello che potremo chiamare Ignoto 1, che vedeva in Carla, Aurelia, Wilma, Luana e nelle altre dei pericoli per la società.