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 2021  febbraio 21 Domenica calendario

Haftar puntava su Armi e sicari da Trump

Un manipolo di mercenari occidentali al soldo di Erik Prince, il co-fondatore della famigerata compagnia Blackwater, doveva dare la spallata finale al governo di Fayez al-Sarraj e permettere al maresciallo Khalifa Haftar di conquistare Tripoli. L’operazione «Project Opus» aveva come obiettivo eliminare i principali comandanti militari nemici e far crollare le difese della capitale libica. Ma alla fine, per problemi logistici e mancanza di elicotteri d’assalto adeguati, è abortita.
Il blitz che poteva cambiare le sorti del conflitto è stato rivelato da un rapporto dell’Onu finito nelle mani del « New York Times». E getta nuova luce su una guerra iniziata giusto dieci anni fa, il 17 febbraio 2011, con la sollevazione di Bengasi contro Muammar Gheddafi e le speranze della primavera araba. Si è trasformata in una battaglia di mercenari che ha coinvolto tutti. I russi della Wagner al fianco del maresciallo, e si sapeva, ex jihadisti siriani riciclati e trasportati dalla Turchia, ciadiani e sudanesi reclutati dagli Emirati arabi.
Ed è proprio ad Abu Dhabi dove tutto si incrocia. Prince, fratello della ministra dell’Istruzione di Donald Trump, Betsy DeVos, in buoni rapporti con Jared Kushner e con i due uomini forti del Golfo, Mohammed bin Salman e Mohammed bin Nayef, si è trasferito nell’emirato dopo aver sciolto la Blackwater, travolta dallo scandalo per il massacro di 17 civili in un mercato di Baghdad. Con una nuova società, la Assurance Management Consultants, si è riciclato come «facilitatore» ma ha continuato il mestiere. Dopo il fallito blitz per prendere Tripoli nell’aprile del 2019, Haftar si rivolge a lui attraverso i suoi mentori. Ha bisogno di armi, droni, uomini per un colpo definitivo. In barba dall’embargo sulle forniture di armi, Prince procura subito, conferma il rapporto dell’Onu, «mercenari stranieri, elicotteri d’assalto, motoscafi armati, mezzi per la guerra elettronica». Ma il "pacchetto" più interessante è un plotone di "hitmen", sicari, che hanno il compito di eliminare i capi delle milizie schierate con il premier Al-Sarraj, e seminare il panico.
È un’operazione ardita; i commando devono operare dietro le linee nemiche, trasportati da elicotteri. Prince, ex Navy Seals, recluta una ventina di uomini: dodici sudafricani, cinque britannici, due australiani, un americano. Un suo sodale, Christiaan Durrant, va in Giordania per acquistare due Cobra H1. L’affare sembra fatto, Durrant rassicura i vertici del Regno hashemita che ha «tutte le autorizzazioni». Ma i giordani, insospettiti, lo bloccano. Durrant si sposta allora in Sudafrica per trovare i mezzi adeguati. Anche questo tentativo va a vuoto. Il commando di "hitmen" arriva comunque in Cirenaica, ma senza l’equipaggiamento chiesto da Haftar. Il maresciallo va su tutte le furie. E il commando fugge, su un paio di gommoni, attraversa il Mediterraneo fino a Malta, in un viaggio da incubo di 18 ore. Tutti vengono arrestati al loro arrivo.
Questo sbarco anomalo insospettisce autorità locali e l’Onu. Comincia l’inchiesta, che si è conclusa giovedì con la consegna del rapporto di 61 pagine al Consiglio di Sicurezza. Prince, in teoria, rischia sanzioni per aver violato l’embargo. E le rivelazioni potrebbero rendere più precaria la transizione impostata dalle Nazioni Unite a Ginevra, con l’elezione di un nuovo presidente, Mohammad Younes Menfi, e di un nuovo premier, Abdul Hamid Dbeibah, incaricati di traghettare il Paese verso le elezioni di dicembre. Serve fiducia reciproca ma adesso Haftar emerge come un «signore della guerra» ancora più spregiudicato, in grado persino di schierare fianco a fianco mercenari russi e americani. Un record anche nella sporca guerra libica.