La Stampa, 21 febbraio 2021
«Le mie sette notti n fondo al dirupo»
Sette giorni, sette notti. Quasi il titolo di un film. Prima o poi, chissà, diventerà proprio la trama di un film la storia vera di Michele Benedet, il trentatreenne triestino sopravvissuto al gelo per tutto quel tempo sui monti della Val Venzonassa, in Friuli. Lui e il suo cagnolino Ash, un piccolo meticcio di undici anni. Sono stati salvati dal Soccorso alpino della Sezione di Udine, allertato dalla fidanzata del giovane. Michele è caduto da un dirupo giovedì della scorsa settimana. Si è trascinato fino a una strada forestale, dove però non è mai passato nessuno. È rimasto al freddo, con un piede e le costole rotte, fino al giovedì successivo. Una settimana senza acqua né cibo. «Sono sopravvissuto triturando con un sasso una piccola pozza gelata che si era formata in mezzo alle pietre», racconta. Si è coperto dal gelo con le foglie e una cartina topografica. Bendet parla da un letto dell’ospedale di Cattinara, a Trieste.
Come sta?
«Con tutti i farmaci che mi danno sono confuso».
Cosa ha sofferto di più?
«La sete. È terribile».
Si ricorda come è caduto?
«Stavo camminando giù per un sentiero, sono scivolato e finito in un canale. Era pieno di neve e quindi ho continuato a scivolare, non riuscivo a fermarmi».
Per quanti metri?
«Credo una trentina. Quando mi sono fermato sentivo male dappertutto. Non avevo aria, non riuscivo a respirare. Grondavo sangue».
A quel punto cosa ha fatto?
«Ho controllato gambe, braccia e polsi. Sembrava tutto a posto. Ma quando mi sono alzato mi son detto... mmm... qui c’è qualcosa che non va al piede destro. Stavo per svenire. Ho avuto la tentazione di chiudere gli occhi e di addormentarmi, ma ero consapevole che se lo avessi fatto sarebbe stata la fine. Sarei morto congelato. Allora ho preso lo zaino e l’ho fatto rotolare giù, seguendolo pian piano, scivolando e strisciando. Poi ho tentato di raggiungere il sentiero sotto. Ho pensato che se fossi riuscito ad arrivare lì prima o poi qualcuno mi avrebbe trovato e salvato. Quindi ho lasciato lo zaino».
Perché ha abbandonato lo zaino? Dentro aveva sicuramente da mangiare e da bere.
«Sì, avevo scatolette, la borraccia, panini e altro. Ma nelle condizioni in cui ero con lo zaino non riuscivo ad andare avanti. Troppo peso. Quindi ho tirato fuori il telo termico, che poi ho perso, la carta topografica e la torcia. Ho bevuto l’ultimo sorso di limonata dalla borraccia e ho continuato a trascinarmi. Quella limonata l’ho pensata per tutti i sette giorni successivi».
Perché non ha preso anche il cibo dallo zaino?
«Stavo svenendo. Ho mollato tutto per andare di sotto a svenire sul sentiero in modo che qualcuno mi trovasse il prima possibile. Non volevo crollare nel punto in cui ero, cioè in mezzo al dirupo. E non immaginavo che invece sarei rimasto una settimana intera così, ad aspettare da solo al freddo».
Si è riparato dal freddo con le foglie e la cartina topografica?
«Ho fatto uno strato di foglie, ho messo la carta sopra e poi sopra un altro strato di foglie».
Non aveva nemmeno da bere.
«Ho sofferto non tanto la fame, quanto la sete. Ma una volta ho avuto la tentazione di addentare una pigna».
Il cellulare lo aveva?
«Sì ma non c’era mai rete».
È sempre stato fermo?
«I primi giorni sì. Poi ho tentato di spostarmi un po’ verso il torrente, sentivo il rumore dell’acqua. Strisciavo per terra. Per farlo avevo incastrato i guanti sotto le ginocchia. Ce l’ho fatta ad avvicinarmi a delle piccole pozze di ghiaccio, create dagli zampilli del ruscello. Ho rotto dei pezzettini e li mettevo in bocca per dissetarmi. Poi non avevo più idee, non sapevo più cosa fare. Parlavo solo, parlavo con gli spiriti».
Dopo che è scivolato nel dirupo il suo cane, Ash, l’ha trovata subito?
«Sì, anche perché sono caduto per una trentina di metri. Ash scodinzolava, pensava che giocassi. Perché mi vede spesso quando mi lancio giù per i ghiaioni in montagna... quindi lui mi guardava e scodinzolava».
Il cane le ha tenuto caldo?
«Gli chiedevo di starmi vicino perché avevo un freddo pazzesco, ma lui mi guardava. Non capiva. Andava a bere nel torrente e io lo imploravo di portarmi acqua.... Un giorno invece, preso dalla disperazione, ho provato a scacciarlo via per farlo correre verso il paese nella speranza di attirare l’attenzione di qualcuno. Ma lui tornava. È così Ash. E l’ultima notte ha dormito accoccolato a me. Il suo calore mi ha salvato».