La Lettura, 21 febbraio 2021
Italia patria dei campanili
Campanile di sera, Achille si dispera: così s’intitolava l’articolo che lo scrittore Achille Campanile – all’epoca critico televisivo per il settimanale «l’Europeo» – dedicava alla prima puntata della trasmissione televisiva Campanile sera, condotta il 5 novembre 1959 da un giovane Mike Bongiorno. Nella trasmissione si trovavano ogni sera a gareggiare una località del Nord contro una del Sud: campanile — dunque – nel senso di paese, comunità di appartenenza. Anche se, annota Campanile, il presentatore «ha battuto insistentemente su questo tasto: che dal titolo Campanile Sera esula qualsiasi riferimento a campanilismo, rivalità comunali e cose del genere». Una sorta di retorico campanile, stavolta nel senso calcistico di tiro che punta verso l’alto, per scavalcare il più diffuso valore figurato della parola: quello che da almeno due secoli rimanda alle «stizze da campanile a campanile», come le chiamava il poeta toscano Giuseppe Giusti.
Nel 1905, un puristico dizionario dei Neologismi buoni e cattivi commentava: «Campanilismo, campanilista, neologismi della forma ora in voga, che designano l’esagerato amor di campanile e chi lo prova». Ma il campanilismo — anche come parola – arriva subito dopo l’unità d’Italia. Le prime documentazioni rimandano al 1866: «Il campanilismo lo detestava e la parola Piemontesismo era il suo rovello», si legge in una raccolta di Bozzetti militari. E in un altro libro dello stesso anno – aperto da una dedica «al generale Giuseppe Garibaldi» – ci si scaglia contro «il morbo del codinismo, nelle sue diverse specie di borbonismo, lorenismo, campanilismo». D’altronde, «amor di campanile, campanilista, sono espressioni troppo note in Italia!», ribadiva dieci anni dopo un volumetto sulla Giovane Roma da poco divenuta capitale.
Forse, però, quel «sentimento provinciale e campanilistico» (anche l’aggettivo circola prima del Novecento) di cui parlava Benedetto Croce a proposito di certi letterati è sempre esistito. È quel campanileggiare radicato proprio, come ricordava già nel Settecento il critico d’arte Francesco Milizia, in una forma di competizione architettonica: «Una città quanto più campanileggia, torreggia e cupoleggia, più spicco fa da lungi».