La Stampa, 20 febbraio 2021
La tecnologia non è pensata per le donne
Strillare. È un verbo molto usato quando una donna parla in pubblico. Il momento storico in cui lo si è impiegato di più è stato durante la campagna presidenziale di Hillary Clinton. È il 2016. Il reporter Bob Woodward non si fa problemi a ripetere: «Urla, c’è qualcosa di non rilassato nel modo in cui comunica». Secondo l’ex presidente del Partito Repubblicano, Michael Steele, Hillary «sale di un’ottava con ogni parola». «Anche le persone che sono d’accordo con quello che dice, trovano scoraggiante il tono» sostiene Brit Hum di Fox News.
Perché tutti odiano la voce di Hillary Clinton? chiede la rivista The New Republic. Secondo Dustin Harp, autrice di Gender in the 2016 US Presidential Election, il problema è che il suono, che si presume sgradevole, contamina i contenuti e si finisce per non dare più retta a ciò che dice la candidata, ci si ferma prima, si critica un presunto difetto della voce femminile che è, per natura, più alta di quella maschile. E se, invece, non fosse stata proprio tutta colpa di Hillary, ma anche in questo caso alla base ci fosse un errore di design? All’inizio radio e microfoni, infatti, sono stati ottimizzati per le voci più basse, tipicamente prodotte da un apparato vocale maschile. (...)
Con la tecnologia più recente questo gap è quasi sparito, a differenza del pregiudizio che invece è rimasto: le donne non sono fatte per parlare in pubblico. Che il medium condizioni l’affermarsi di un contenuto non è una novità. Come spiega Steven Berlin Johnson nel suo How We Got to now, quando negli anni Venti la radio prese piede in tutti gli Stati Uniti come mezzo di comunicazione di massa, c’era bisogno di contenuti. La tecnologia degli altoparlanti dell’epoca distorceva la musica classica e le stazioni radiofoniche optarono per quello che fino a poco prima era un genere oscuro e minore, underground diremmo oggi, da anni confinato negli Stati del Sud... il jazz. In pochi mesi nacquero star, oggi veri e propri mostri sacri, da Duke Ellington a Ella Fitzgerald, Billie Holiday e molti altri, aprendo un canale che poi sarà riempito da pop e rock, e facendo nascere anche movimenti civili per la parità razziale. Insomma, la voce delle donne ha subito la stessa discriminazione della musica classica. Anche se inizialmente gli operatori telefonici dei centralini furono soprattutto donne, a cui però venne raccomandato di esercitarsi a produrre timbri melodiosi e deferenti. (...)
Nel 1924 la rivista Radio Broadcast intervistò alcuni direttori delle più importanti stazioni americane e tutti bollarono le voci delle donne come «stridule», «nasali», «distorte», troppo acute tanto da creare problemi tecnici. No, no, meglio non mandarle in onda. Come già accaduto con la Clinton, la critica però si estese presto anche ai contenuti. Non solo timbro e intonazione femminili non sono adatti al broadcasting, ma non lo sono le donne in generale. (...)
Charles Popenoe, direttore delle stazioni WJZ e WJY di New York, giustificò il fatto di non avere speaker donne tirando in ballo un fantasioso sondaggio: il 99% degli ascoltatori preferiva i presentatori di sesso maschile. Nel numero di gennaio del 1927 del Bell Laboratories Record (una pubblicazione del Bell System poi divenuta la AT&T, American Telephone and Telegraph Company, uscita dal 1925 al 1984), in un saggio intitolato «Comprendere le donne», JC Steinberg riportò i risultati di una serie di esperimenti scientifici con cui dimostrò che le frequenze della banda vocale riducono l’intelligibilità del linguaggio femminile tagliando le componenti di frequenza più elevate necessarie per la percezione di alcune consonanti. Quindi le donne spesso hanno un tono troppo alto per essere comprensibili in onda: correggere la tecnologia? Certo che no, Steinberg lo liquidò come un fallimento biologico femminile, non un problema dei loro apparecchi. (...)
Già negli anni Quaranta-Cinquanta questo limite tecnologico venne superato. Oggi, paradossalmente sono proprio le voci acute a essere favorite dalla miniaturizzazione degli apparecchi e per questo navigatori e assistenti digitali hanno voci femminili. Partendo dai 400 Hertz funzionano meglio con gli altoparlanti più piccoli e quindi si affermano insieme a computer portatili e poi con gli smartphone e tablet. Resta, però, il fatto che le voci basse vengono considerate ancora più calde e piacevoli, e spesso i deejay usano «l’effetto intimità» per amplificare i bassi. (...)
Giudizi che hanno pesato e pesano tutt’oggi. Un secolo di commenti negativi sulla voce femminile ha avuto infatti effetti ampissimi. Uno studio del 1998 su giovani donne australiane (di età compresa tra i 28 e i 25 anni) ha rivelato che tra il 1945 e il 1993 il tono medio femminile è sceso di 23 Hertz; la sociologa che ha coordinato la ricerca, Anne Karpf, ha spiegato che il pubblico occidentale può percepire una voce acuta come socialmente inferiore.
La stessa Margaret Thatcher ha lavorato sodo con dei «vocali coach» per abbassare il proprio timbro vocale di 46 Hertz, abbastanza per assumere la potenza propria delle voci maschili. Si affidò a Catherine Flemming, la specialista con cui studiavano i divi Laurence Olivier e Peter O’Toole. La tecnologia dei mass media ha connesso tutti, ma una persona su due ne è stata penalizzata a livello di espressione. Un dato pazzesco. Tuttavia, i problemi di una tecnologia concepita «al maschile» non finiscono con la riproduzione del suono. Prendiamo gli smartphone: anche se le acquirenti degli iPhone sono soprattutto donne, i dispositivi sono di fatto fabbricati a misura d’uomo. O meglio della sua mano, in media 2,5 centimetri più grande di quella femminile e per la quale vengono progettati anche pianoforti e tastiere. Sarà per questo che ci sono meno pianiste famose? Risultato: per le donne è quasi impossibile fare fotografie di buona qualità o scrivere un messaggio con una mano sola. Ricorrere ai comandi vocali potrebbe ovviare il problema, ma anche qui niente da fare: molto spesso il software di riconoscimento vocale non funziona bene quando a parlare è una donna.
Nel 2016, Rachael Tatman, ricercatrice di linguistica dell’Università di Washington, ha scoperto che il software di riconoscimento vocale di Google aveva il 13% di probabilità in più di comprendere con precisione parole pronunciate da un uomo.
Insomma, si va dagli smartwatch troppo grandi per i polsi delle donne alle app di salute che monitorano tutto ma non il ciclo mestruale (famigerato il caso del primo Apple Health), fino ai navigatori che indicano sempre e solo le strade più veloci e mai le più sicure, o ai caschi per la realtà virtuale che sono enormi per la circonferenza media del cranio femminile e gli occhiali per la realtà aumentata con lenti troppo lontane, cosicché se non sei maschio, fatichi a mettere a fuoco. I gadget hi-tech sono creati pensando a un unico consumatore standard. Questo accade principalmente perché la stragrande maggioranza delle aziende tecnologiche è composta da uomini, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo dei prodotti.