la Repubblica, 20 febbraio 2021
QQAN70 Coco Chanel eroina
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Credo che Annarita Briganti, giornalista culturale e romanziera, mi costringa a scoprire una Chanel nuova, non quella conosciuta finora ma un’altra, la sua, il personaggio inedito che in questi ultimi mesi ha appassionatamente cercato, inseguito, perduto, ritrovato, scoperto, amato, girando per le strade di Parigi, vagando nelle sale della sua maison, frequentando i suoi bistrot preferiti, consultando diversi archivi, incontrando i suoi esegeti, leggendo tutto ciò che di quella gran signora della grande moda è stato scritto, innamorandosi delle migliaia di fotografie della sua vita, della sua epoca, del suo lavoro. E adesso questo viaggio nel passato lo racconta in Coco Chanel, una donna del nostro tempo, coraggiosamente, con una venerazione inedita, mondandola di ogni peccato impostole dalla sua epoca, facendone una esemplare eroina per le donne di oggi; non una rivoluzionaria primo novecento, ce ne furono tante, ma una geniale donna che del suo tempo è riuscita a sfruttare le poche occasioni che permettevano alle donne di liberarsi, affrancarsi, rendersi autonome in ricchezza e fama: immortali.
La celebrazione di Mademoiselle custodita nelle 150 pagine di questa biografia coincide con il cinquantenario della sua morte in solitudine, a 88 anni, nell’albergo che era diventato da anni la sua casa: era il 1971, e il femminismo stava irrompendo nel mondo, cancellando tra l’altro la compostezza ormai artificiosa dei suoi celebri tailleur e riempiendo le piazze di ragazze in gonne da zingara, a reclamare una libertà che Chanel, in tempi di massima inconsistenza delle donne, aveva vissuto, suggerito, forse talvolta subìto. Credo che questo brillante studio su una donna diversamente celebrata in passato, sia forse il primo o uno dei primi ad affrontare un revisionismo femminista che sta mandando all’aria secoli di storia e letteratura patriarcale, ma anche decenni di femminismo rivendicativo. Oggi le donne stanno valutando come riscrivere, reinventare, restituire al loro valore individuale le donne del passato, valutandole secondo lo sguardo politico del presente, per mondare la loro vita da peccati, errori, orrori, strettamente imposti dal loro tempo. Con Gabrielle Chanel detta Coco non è facile, ma Briganti non si scoraggia e per esempio riesce a dare un senso meno spericolato al periodo più nero della sua vita. È vero, durante la tragica occupazione nazista di Parigi, chiuso l’atelier, la signorina (non si sposerà mai) ha frequentazioni che ne fanno una collaboratrice di quelle che alla fine della guerra saranno svergognate e crudelmente punite (ma non lei), e del resto ugualmente solidali col nemico lo erano stati altri suoi colleghi e buona parte del bel mondo e no, ma, scrive l’autrice, «se si consegna ai nemici e intrattiene relazioni pericolose, sbagliatissime, inopportune» è stato per salvare il nipote che per lei è come un figlio. E poi, «Qui si tratta di essere madri e non puoi toccare un figlio a una madre: farà qualsiasi cosa pur di salvarlo». Briganti tratta da pettegolezzo la realtà del legame complice di quel periodo, tra Chanel quasi sessantenne e Hans Gunther von Dincklage, l’ufficiale che dirige l’ufficio propaganda del Reich nella Francia occupata e abita come lei al Ritz, il lussuoso albergo requisito dai tedeschi su cui sventolano le bandiere naziste.
La storia di Gabrielle è comunque davvero epica, quella di una bambina che nasce nel 1883 a Saumur, cittadina della Loira, in un ospizio per poveri, da una madre che muore poco dopo di tisi e un padre che abbandona lei e i suoi fratelli. Cresce in un orfanotrofio, giovinetta, cerca di guadagnarsi da vivere come possono fare le ragazze miserevoli della festosa Seconda Repubblica: commessa, cantante nelle sale-concerto ( Ko Ko Ri Ko la sua canzone di breve successo), distributrice di acqua minerale alle fonti di Vichy, sartina, una vita senza futuro. Ma la ventenne Gabrielle è molto carina, flessuosa, vita sottile, viso ridente, nasino aggraziato e una corona di capelli, folti, lunghi, lucenti che le incoronano la testa, e che poi taglierà lanciando la moda della frangetta. Conosce i limiti della sua condizione, ma è anche conscia del suo ingegno, del suo fascino, della sua ambizione. «La donna sta per innamorarsi, sta per provare sentimenti per due uomini diversi, due principi non proprio azzurri perché il principe azzurro non esiste, ma entrambi le cambieranno la vita, in particolare uno dei due». Certo è amore, ma è anche l’unica strada d’epoca per ragazze come lei, quella della mantenuta che consentirà alla accorta ragazza di iniziare il veloce percorso verso la fama, ma soprattutto al suo straordinario ingegno di esprimersi e che cambierà per sempre l’immagine delle donne. Il primo uomo ricco la fa vivere nel suo castello, relegandola in cucina quando ha ospiti perché considerata impresentabile, però le impresterà i soldi per aprire un negozietto di cappelli; poi la passerà al secondo, il famoso “boy”, secondo Briganti il suo grande amore, che però ha anche un’altra amante, una cocotte, che anni dopo sposerà; un uomo comunque prezioso perché sarà lui, a finanziare la sua prima sartoria. Da questo momento la vera Chanel sarà più libera di essere se stessa: l’amante di principi russi e duchi inglesi, di Iribe e Stravinsky, amica e collaboratrice di Colette e di Misia Sert, di Picasso, di Cocteau, di Morand, di Visconti; la rivoluzionaria dell’estetica femminile, la creatrice del più celebre profumo, il suo Chanel n.5, la collaboratrice degli artisti del suo tempo, la regina della massima mondanità gaia e gay; l’imprenditrice accorta e attenta al profitto, a volte spietata, che negli anni ’30 arriva a 4000 dipendenti e oppone agli scioperi delle sue sartine la sua astuzia, preferendo chiudere temporaneamente la maison piuttosto che cedere alle richieste sindacali. «C’è insomma in questo episodio del vento di protesta sociale che spazza l’Europa, la lotta di classe, ma c’è anche la solidarietà di genere», è l’assoluzione della scrittrice. Che la segue con passione nella fuga in Svizzera alla fine della guerra, nel ritorno a Parigi finalmente perdonata quando nel 1956 riapre con rinnovato genio e successo la Maison e accorrono le signore e i fotografi, incuriositi, incantati. È il tempo in cui crea il suo famoso per sempre sciannellino, quel tailleur che tutte le eleganti del mondo vorranno, copieranno, indosseranno e che entrerà tragicamente nella storia in quella orribile mattinata del 22 novembre 1963 a Dallas, quando Jack Kennedy, il giovane presidente degli Stati Uniti, fu assassinato e il suo sangue schizzò sullo Chanel rosa di sua moglie Jacqueline.