19 febbraio 2021
Sull’assoluzione di Alex Schwazer
Gabriele Romagnoli, La Stampa
Alex Schwazer è un caso. Umano, sportivo, giuridico. Un dilemma morale e perfino di carattere teologico: se il peccato originale può essere redento dal “secondo Adamo” perché al nuovo Alex non è stata concessa una seconda occasione? Ora una sentenza del tribunale di Bolzano conferma quel che già era più che sospettato: è esistito un complotto internazionale per incastrarlo e impedirgli così di partecipare a un’altra olimpiade e probabilmente vincere ancora una medaglia d’oro, o addirittura due.
Il lato umano. Alex Schwazer è un uomo difficile. Chiuso, determinato, glaciale. È un insicuro che si dà forza autoproclamando la propria superiorità. Tiene gli altri a distanza, non soltanto quando corre. Non ha empatia. È capace di raccontare e raccontarsi una storia diversa dalla verità. Lo fa anche nel cerchio ristretto, come è accaduto con la fidanzata Carolina Kostner, trascinata a patire una squalifica quasi pari alla sua. Alex Schwazer ha pianto lacrime in pubblico ammettendo di aver fatto ricorso al doping e chiedendo invano di essere perdonato. Poi ha scritto una biografia ("Dopo il traguardo”, mai data alle stampe, ma che ho potuto leggere in bozze) nella quale di fatto si autoassolveva, accusando il sistema. Si riteneva il più forte, comunque. Non un santo, non un atleta ideale e non l’uomo con cui passare ore al bancone di un bar. Questo giustifica la persecuzione, senza morale né ripensamento, di cui è stato oggetto?
Il lato sportivo. Alex Schwazer è un campione. Nella sua specialità, il più forte del suo tempo. Un tempo che non offre certezze, uno sport che non garantisce equi verdetti: il migliore non è sicuro di vincere. È capitato a Pantani, capita a Schwazer. Il timore è che un tizio che ti lasceresti agevolmente alle spalle sul Mortirolo o a metà corsa, ti resti incollato e poi alla fine ti scappi via senza neppure una goccia di sudore, ma con molte di altro liquido nelle vene. Il doping è diffuso come l’evasione fiscale. Così fan tutti. Viene perfino da pensare che si ri-parametrino i valori di partenza, ma chi fosse onesto rimarrebbe indietro. E allora ecco, nei ricordi di Carolina Kostner, il fidanzato Alex che di notte si alza, va al frigorifero, prende una fiala senza etichetta poi, quando torna a letto, dice: «Avevo sete». Aveva paura: che non bastasse. Invece è così forte che potrebbe vincere pulito. Quando torna dopo la squalifica lo dimostra. Allenato dal suo ex accusatore, Sandro Donati, lo stupisce a ogni uscita. L’altro guarda il cronometro in bicicletta, accelerando incredulo la pedalata. Alla 50 chilometri di Roma ne dà uno di distacco al secondo classificato. Ed è il suo errore strategico. Spavalderia e desiderio, voglia di riassaporare il gusto della vittoria dopo la squalifica: il gusto pieno, senza additivi. Una voce al telefono, all’alba della vigilia, quella di un giudice, aveva ammonito Donati: «Digli di lasciar vincere». Non sarebbe stato da Schwazer, ma così ha dimostrato una cosa: è il migliore, sarà primo a Rio. Non possono permetterlo. Un anno prima ha denunciato il “sistema”. Ora, se trionfa lui, perdono tutti gli altri. In realtà, con la squalifica crudelmente inflitta mentre è già in Brasile, perdono tutti. Lui non corre più. Lo sport si dimostra un gioco non credibile. L’arbitro è parziale, per usare un termine di cortesia. Il tempo porterà alla luce intercettazioni in cui i garanti della legalità esprimono intenti vessatori (altro eufemismo) nei confronti di Schwazer. E, col tempo, tutti costoro perderanno le posizioni malamente occupate. Una curiosità: il responsabile dell’ufficio antidoping italiano, da cui esce un imbarazzato silenzio, è il generale Leonardo Gallitelli, nominato dal presidente del Coni Malagò che ci tiene a far sapere di aver condiviso la scelta con il premier Matteo Renzi. Due anni più tardi, al cospetto di Fabio Fazio, verrà sorprendentemente indicato come candidato alla presidenza del consiglio da Silvio Berlusconi. Il giorno dopo non se ne parlerà già più.
Il lato giuridico. Le sentenze sono sentenze. Fino a che non si dimostra in una diversa aula il loro erroneo fondamento restano valide e vanno eseguite. Il secondo verdetto di squalifica per Schwazer poneva un problema: il primo era stato giusto. Lo aveva riconosciuto il condannato stesso. Qui si è creata una distorsione logica. Quando ha ripreso a marciare tra gli stessi atleti c’è stato chi si è opposto, come Gianmarco Tamberi, saltatore all’epoca indicato come possibile medaglia a Rio, prima di un infortunio. Perfino il suo vecchio allenatore (che forse aveva qualche problema di coscienza) si è schierato contro. Ora, si può pensare che chi viene scoperto a barare dovrebbe essere cacciato dal tavolo a vita. Ma è un’opinione, per quanto condivisibile. Le norme sono diverse. Le piste sono affollate di atleti rientrati dopo anni, anche se spesso chi gareggia al loro fianco si stranisce. Basti pensare al pluri-recidivo primatista con l’aiutino nei 100 metri, Justin Gatlin. Al rientro ha rivinto un bronzo olimpico. Schwazer rischiava uno o due ori. Gatlin non ha accusato neppure se stesso. Schwazer, tutti. Alla seconda squalifica, per come è stata sapientemente preparata, diluendo i tempi, non lasciando margini di reazione, non si poteva opporre che la fragilità del sospetto. «Io so» funziona in un articolo di giornale, non in una vicenda giudiziaria. Tutti sanno, più o meno, chi ha ucciso John Kennedy e soprattutto chi non lo ha ucciso. Nessuno ha ancora portato le prove. Quelle che c’erano sono sparite. Per Alex Schwazer qualcosa è rimasto, nelle provette che prima incriminavano lui e ora i suoi accusatori. Adesso c’è una sentenza. E di conseguenza un suo rinnovato diritto: quello di tornare a competere, pulito, subito. Un diritto che gli deve riconoscere anche chi pensa che un errore vada pagato per sempre. Non dare un’altra occasione al “secondo” Alex sarebbe un peccato, neppure originale.
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Fabio Tonacci, la Repubblica
«Come festeggio? Mia moglie Kathrin mi ha preparato una torta al cioccolato. E sopra ci ha messo cinque cerchi di zucchero, pensi che gran donna che ho sposato!». Cinque cerchi su un dolce posson bastare. Per ora. Ma la ciliegina sulla torta di Alex Schwazer la può mettere solo lo sport, riabilitandolo, scusandosi, aprendogli le porte per andare a Tokyo, sempre che abbia ancora nelle gambe i tempi record che aveva quando l’hanno fermato. «Se ci penso? Si, ci penso...», dice al telefono il marciatore, nel giorno in cui l’incubo è finito.
Che poi, Tokyo. Il suo secondogenito Noah, quattro mesi, sta piangendo mentre Alex gli cambia il pannolino, il cellulare lo tiene appoggiato tra la spalla e l’orecchio. «Ho la famiglia a cui badare e un lavoro, mi alleno quando posso». Rio 2016, una vita fa. Squalificato alla vigilia della gara olimpica. Ma Alex corre ancora. «Almeno una volta al giorno». La voce un po’ gli trema ed è un indizio di felicità. L’unico. Felice nel modo in cui lo è questo glaciale italiano di 36 anni con l’accento altoatesino: soddisfazione sì ma contenuta, sotto le righe, niente rancore. A Tokyo ci pensa, ma domani. Oggi va bene così, «ché ho imparato a non aspettarmi troppo». Intanto, un giudice di nome Walter Pelino ha cancellato con cinque parole — «non aver commesso il fatto» — cinque anni di infamie e l’ingiusta accusa di essersi dopato col testosterone. Il gip di Bolzano ha ribaltato il tavolo, gli accusatori sono diventati gli accusati. Si apre un’altra partita, si indaga sul complotto.
Schwazer, ha letto l’ordinanza?
«Non ho avuto il coraggio. Temevo ci fosse qualche paragrafo che impedisse, per l’ennesima volta, di arrivare alla verità. Ho chiamato il mio allenatore, Sandro Donati, e gli ho detto: leggila tu, io non ce la faccio».
Dov’era quando le è arrivata la notizia dell’archiviazione?
«A Vipiteno, mi stavo allenando.
Quando ho finito ho visto che sul telefono avevo una valanga di chiamate. Neanche quando ho vinto le Olimpiadi a Pechino ne ho ricevute tante».
La prima telefonata a chi l’ha fatta?
«A Sandro e poi al mio avvocato Gerahrd Brandstätter. Insieme a loro in questi cinque anni mi sono conquistato ogni piccolo pezzo della mia innocenza».
Tokyo. Quanto è lontana?
«Attualmente non posso andarci, la mia squalifica di otto anni resta.
Dovrò decidere come muovermi con la giustizia sportiva. Siamo già a marzo, i tempi stringono. Devo anche qualificarmi. Però mi sono tenuto in discreta forma».
Si dice faccia ancora tempi da record del mondo. È vero?
«No, non è possibile. Anche perché prima di tutto penso al mio lavoro (allenatore nella marcia, ndr ), poi cerco di correre. Non posso essere paragonato a un professionista che fa due sedute al giorno, io ne faccio al massimo una»
Da zero a cento, quanto è in forma?
«Al quaranta per cento».
Se le permetteranno di gareggiare, cosa le fa pensare di riuscire a qualificarsi per Tokyo?
«Se non ho infortuni ce la posso fare. Ovviamente dovrò vedere anche come reagirà il mio fisico a doppie sedute di allenamento. Ma senza intoppi, posso qualificarmi ed eventualmente fare una bella prestazione in gara. Però...».
Però?
«In tanti parlano e mi parlano delle Olimpiadi, però la cosa importante è che il giudice abbia riconosciuto la mia innocenza. Se poi potrò andare a Tokyo, bene. Se non capita, vivo lo stesso».
A cosa sta pensando?
«Avevo fatto un esercizio di rimozione del passato. Oggi però i ricordi sono tornati con prepotenza. Uno, in particolare. Bruttissimo.
Quel giorno a Rio quando mi dissero della squalifica. Ero sul lungomare di Copacabana, sul tracciato dove il giorno dopo avrei dovuto correre la marcia. Dovevo tornare in aeroporto, rientrare in Italia, con un’accusa ingiusta sulle spalle. E camminavo, piano piano, lì a Copacabana, un passo dopo l’altro, senza sapere dove andare, quale strada prendere...».
Si è perso d’animo in questi cinque anni?
«No, no, no… mi è accaduta una cosa troppo grande e troppo grave, non potevo accettare di pagare per una cosa che non ho fatto. Sono stato sbattuto sui giornali come un mostro. Devi lottare per i tuoi diritti, devi lottare sempre».
Chi ha tramato contro di lei?
«Non lo so, ci penserò prossimamente. Un giorno le darò una risposta precisa».
Il controllo a sorpresa il primo dell’anno del 2016, ordinato due settimane prima nel giorno in cui lei stava deponendo a Bolzano contro i medici della federazione italiana di atletica. È stato punito per aver parlato?
«Non lo so, non ho certezze. Però una cosa la so: chi ha organizzato la manomissione delle provette lo ha fatto per colpire sia me che Sandro Donati».
Cosa l’ha impressionata di più della sua vicenda giudiziaria?
«L’inversione dei ruoli. Per un anno intero la Wada e la Federazione internazionale di atletica sono riusciti a impedire che il laboratorio tedesco di Colonia consegnasse agli inquirenti le provette con la mia urina. Eppure loro avrebbero dovuto facilitare la consegna!».
Provette che, ha stabilito il gip, sono manomissibili, si possono aprire e richiudere.
«Sono sette anni che lo sappiamo.
Già dallo scandalo alle Olimpiadi di Sochi: quel tipo di provetta che in Russia è stata aperta centinaia di volte, è ancora usata».
Si aspetta delle scuse?
«In tanti hanno parlato e straparlato di me, ma non sono qui ad aspettare scuse. Non provo rancore. Oggi è un giorno bello, si festeggia. Ho un dolce con cinque cerchi che mi aspetta».
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Marco Bonarrigo, Corriere della Sera
1 Chi ha squalificato Schwazer? Quando termina la sanzione?
Quello di Alex Schwazer (per la positività al testosterone del 1° gennaio 2016) è stato un processo sportivo anomalo e sommario. A causa della notifica tardiva della sua positività, per provare a partecipare ai Giochi di Rio il marciatore rinunciò al procedimento di primo grado davanti al Tribunale dell’atletica optando per un appello diretto davanti alla sezione speciale «olimpica» del Tribunale di arbitrato sportivo, che a Rio trattò il caso in poche ore. La squalifica (8 anni, il massimo della pena considerata la recidiva) scadrà il 15 agosto 2024 quando l’atleta altoatesino avrà quasi 40 anni: una data che lo taglia fuori dai Giochi di Parigi.
2 Ci sono precedenti di atleti condannati sul piano sportivo e assolti sul fronte penale?
In Italia la discordanza tra esito del processo penale (favorevole all’atleta) e condanna sportiva è comune. I giudizi in genere concordano sulla colpevolezza solo in caso di confessione dell’incolpato o evidenze giudiziarie contro l’atleta raccolte dall’autorità giudiziaria. Se queste mancano, spesso la sola positività al controllo non è ritenuta sufficiente dal giudice penale per raggiungere il grado di prova. Casi noti di difformità delle due sentenze sono quelli del ciclista Davide Rebellin (argento olimpico a Pechino 2008, poi revocato) e del maratoneta Alberico Di Cecco, entrambi colpevoli per la giustizia sportiva e innocenti per quella penale.
3 Schwazer può ancora presentare appello?
No: il Tas di Losanna è giudice ultimo internazionale in materia. Contro le sue sentenze si può ricorrere (solo per gravi pregiudizi nei confronti dell’incolpato, l’ha fatto con successo il nuotatore Sun Yang che ha ricusato Franco Frattini presidente del collegio) al Tribunale federale svizzero. I legali di Alex hanno presentato ricorso nel 2020, richiesta rigettata il 5 maggio perché immotivata.
4 È possibile ricorrere alla Corte europea per i Diritti dell’Uomo?
Sì. L’ha fatto Caster Semenya (il procedimento in corso) contro i nuovi regolamenti dell’atletica leggera che la discriminano in quanto atleta con differenze dello sviluppo sessuale. L’ha fatto Michel Platini avverso la squalifica comminatagli dalla Fifa prima e dal Tas poi: la Corte l’ha respinta giudicando la sanzione equa e ragionevole. I ricorsi per casi di doping sono rarissimi (il ciclista Erwin Bakker nel 2019, ad esempio) e tutti finora respinti.
5 Su cosa potrebbe basarsi l’appello alla Corte europea?
Sul diritto di Schwazer a un «giusto processo». Per farlo i suoi difensori dovranno dimostrare che tra gli elementi emersi nell’inchiesta di Bolzano ve n’erano di importanti, già noti nel 2016 al momento del giudizio sportivo, che sono stati colposamente o dolosamente trascurati dai magistrati del Tas.
6 È possibile chiedere la grazia? E a chi?
L’istituto della grazia è previsto dall’ordinamento sportivo. Ma solo per fatti disciplinari (doping escluso) su iniziativa delle singole federazioni e mai del Cio. Viene di norma concessa ai dirigenti (anche se radiati) dopo almeno 5 anni dalla sanzione.
7 È ipotizzabile una revisione del processo?
Non ci sono precedenti, ma alcuni giuristi sportivi non lo escludono nel caso in cui emergano clamorosi elementi probanti a favore di un complotto o una manipolazione, ad esempio una piena confessione o prove documentali inoppugnabili.