la Repubblica, 19 febbraio 2021
In morte di Andrea Lo Vecchio
È una nostalgia al quadrato, ovvero una nostalgia della nostalgia, quella che lascia la morte a 79 anni di Andrea Lo Vecchio. L’autore, tra le tantissime canzoni scritte in mezzo secolo ( E poi... diede una patina di erotismo al limite del porno alla Mina degli anni 70), delle musiche di Luci a San Siro, uno dei classici della musica d’autore italiana – quando Guccini la cantò sul palco del Club Tenco la presentò con questo titolo: “Maledizione, ma perché non l’ho scritta io?”. Testo e interpretazione furono del quasi omonimo Roberto Vecchioni, che scrisse appunto una canzone sulla nostalgia del passato, col dettaglio che era la nostalgia di un ventenne, Vecchioni stesso: «Stavo facendo il militare – spiega ora – e venni piantato da una ragazza. Fu spontaneo raccontare il periodo in cui facevamo l’amore. Poi le cambiai le parole e col titolo di Ho perso il conto la diedi al cantante Rossano, che ebbe un discreto successo al Cantagiro. Quindi me la ripresi e ci misi il testo originale». Ma il ruolo di Lo Vecchio in tutto questo fu tutt’altro che secondario: «Nella nostra collaborazione io curavo i testi e lui pensava alla musica. Ma qui ci fu anche qualcosa di straordinario che spiega che persona fosse Andrea: io non ero ancora iscritto alla Siae, quindi la canzone uscì con la sua sola firma. Ebbene, appena fu possibile lui spontaneamente mi aggiunse tra gli autori, e visto il successo della canzone, coi relativi diritti d’autore, non so quanti l’avrebbero fatto. Ma Andrea era così».
Ma non solo per questo Vecchioni parla con molto dolore di questa morte: «La collaborazione con Lo Vecchio, molto semplicemente, rappresenta la gioventù che ho perduto. Anzitutto eravamo amici, non semplici partner artistici, andavamo in vacanza assieme. E in generale abbiamo vissuto nove anni incredibili: iniziammo da ragazzi nel 1962, siamo cresciuti assieme, come persone e come artisti. Fu il nostro noviziato, per così dire. Abbiamo visto come lavoravano le band, entravamo nelle case discografiche, scoprivamo il mondo della musica. Abbiamo imparato tanto, e forse ci siamo insegnati qualcosa. Eravamo giovani e idealisti, quindi abbiamo imparato io da lui e lui da me a cercare sempre le cose migliori, a fare canzoni che non fossero d’autore, ma che fossero pop nel senso di popolari, accessibili subito a tutti, però al contempo dignitose, non sbracate, di qualità. È molto più difficile che fare canzoni d’autore». Assieme, i due ne hanno scritte decine, la più nota, nostalgie sansiresche a parte, Donna felicità, dei Nuovi Angeli «ma abbiamo scritto anche per Michele e Gigliola Cinquetti».
Poi proprio nell’anno di grazia (artistica, quantomeno) 1971, quello di Luci a San Siro e Donna felicità, la separazione «ma di quelle che succedono, ognuno vuole provare strade diverse e ci si lascia in totale amicizia e sintonia umana. Io mi misi a fare il cantautore, lui continuò a scrivere canzoni di successo, poi passò alla tv a fare sigle e colonne sonore. Restammo in contatto anche se pian piano sempre meno, come succede, ma sempre volendoci bene. Fino alla notizia di adesso, un dolore inatteso». Una notizia che è anche una conferma: no, luci a San Siro non ne accenderanno più.