la Repubblica, 19 febbraio 2021
Le lacrime di Serena Williams
Se n’è andata in lacrime, eliminata in semifinale. Non più tanto Serena. E nemmeno molto Queen. Ha pianto dicendo che aveva fatto troppi sbagli nel torneo di Melbourne, che è stato suo per sette volte. Forse ha capito che era un’altra occasione persa. Molto più definitiva della altre: se non stavolta, quando? Forse ha realizzato che davanti non ha più porte che si aprono e che lo Slam numero 24 è un’onda che torna indietro. Un sogno imprendibile. In molti hanno pensato all’addio, ai titoli di coda, me lei: «Se mai dovessi chiudere con il tennis, non lo direi a nessuno».Ha 39 anni, l’ultimo Slam vinto (numero 23) è del 2017, sempre in Australia. Quella Serena Williams dalla forza devastante, quella che faceva piangere le altre, quella che non trovava più avversarie e voleva addirittura sfidare gli uomini, per trovare più motivazioni, è svanita. Ora non picchia più: né con il servizio, né con il dritto. È solo una preda. Naomi Osaka che l’ha battuta ieri ha 16 anni meno di lei. L’anno scorso a sconfiggerla al terzo turno era stata una cinese, Wang Quiang, alzi la mano chi la conosce. E Serena, furiosa, aveva esclamato: « I’m better than that ». Sono meglio di così.
Lasciava presagire vendette, dedizione, nuova concentrazione. Per carità, Serena resta una celebrità, un’icona, amica di Michelle, l’ex First Lady, di Shonda Rhimes, creatrice e produttrice di serie tv di successo, della modella Gigi Hadid, del rapper Lamar, volto di molti brand, megafono di diritti importanti. Una oltre: lo sport, il colore della sua pelle, il suo essere donna.
Serena aveva ed ha il potere di farsi ascoltare. Quando Ion Tiriac, grande manager e organizzatore, si è permesso di dire nel 2018 che Serena con 90 chili addosso non avrebbe vinto più, tutti ad incolparlo di body shaming, come si permette? Lei stessa si vantava del suo corpo muscoloso e strabordante, esibito senza pudori in vari completi e in molti scatti fotografici (Annie Leibovitz, naturalmente). Era il suo marchio di fabbrica, era il fisico di una neo-mamma.
Ce l’avrebbe fatta a risalire, invece non ha più vinto uno Slam. Deve aver pensato che il mito, i 24 Slam di Margaret Court, era a portata di mano. Ne serviva solo un altro, inutile sbattersi. Prima o poi sarebbe arrivato. Bisognava solo provarci. Continuando ad essere « more than an athlete», ad occuparsi di moda, di canzoni, di documentari, di Hollywood e dintorni. Ma lo sport è geloso dei campioni che lo trascurano, che lo mettono da parte. Vuole restare una priorità. In più Serena nel suo ventennio ha dominato senza avere una grande nemica, senza spinta a migliorarsi, non come Evert-Navratilova. L’avversaria che ha incontrato più volte in finale è stata sua sorella Venus, con 7 successi e 2 sconfitte. Più che tennis sono state dinamiche familiari. Forse ha subito la personalità e la rivalità di Maria Sharapova: bella, bionda, amata dagli sponsor, ma contro di lei ha perso solo una finale su quattro.
L’hanno un po’ disturbata la belga Henin e la tedesca Kerber, ma nulla di più. Le bastava essere Serena per vincere. Quando però è rientrata la situazione è cambiata: lei non è più devastante, e le sue eredi la fanno correre. Le riconoscono il trono, non il comando. Per lei più che un’ossessione questo Slam numero 24 è diventato una delusione. Dovrebbe rimettere il tennis al centro, capire che bisogna adattarsi, adottare strategie, studiare un po’ di più. Se vuoi restare regina, devi conoscere le armi di chi ti vuole spodestare. Altrimenti il viaggio per lo Slam 24 è solo un viale del tramonto pieno di soste. A settembre avrà 40 anni. Vale la pena riprovarci, prima di dire addio. Ma giocando in un solo campo. Quello rettangolare.