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 2021  febbraio 19 Venerdì calendario

Intervista a Lo Stato Sociale

Cinque dischi per cinque artisti, uno per ogni componente della band: solo i ragazzi de Lo Stato Sociale potevano sgranchirsi i muscoli in vista della partecipazione al Festival di Sanremo 2021 con un’operazione discografica del genere. «Potevamo fare la cosa più strana nel momento più strano. E l’abbiamo fatta», sorridono i regaz bolognesi, che condividono lo studio di registrazione e i palchi da dieci anni esatti. Ad inaugurare la serie, lo scorso 29 gennaio, è stato l’Ep di Bebo (Alberto Guidetti), che a Bologna da qualche anno ha preferito Roma: «Ho preso una casa in zona Bravetta e devo dire che a dispetto dei pregiudizi nella Capitale mi trovo abbastanza bene». Il 5 febbraio è uscito il disco di Checco (Francesco Draicchio), seguito il 12 febbraio da quello di Carota (Enrico Roberto). Oggi tocca a Lodo (Lodovico Guenzi), considerato il leader del gruppo, mentre venerdì prossimo chiuderà la serie quello di Albi (Alberto Cazzola): «Non sappiamo ancora se raccoglieremo queste cinque uscite in un unico cofanetto», dicono. All’Ariston tornano a distanza di tre anni dal successo di Una vita in vacanza con Combat pop, un pezzo tra il teatro canzone e atmosfere punk che parla della necessità di abbattere le regole, perché «nella vita si può anche dire di no alle canzoni d’amore, alle lezioni di stile, alle hit del mese»: «Non la canterà Lodo», rivelano loro.
E chi, allora?
«Canteremo una parola a testa, come Qui, Quo e Qua».
Un modo per vincere le tentazioni solistiche, dopo dieci anni sempre insieme?
«Proviamo a trovare un compromesso tra le esigenze de Lo Stato Sociale e quelle dei singoli componenti. Dal 2011 ad oggi abbiamo condiviso davvero tutto. Arrivati a questo punto del percorso abbiamo scomposto Lo Stato Sociale e, incuriositi, abbiamo scoperto i pezzi che lo compongono. L’operazione dei cinque Ep nasce così».
Avete fatto come i Kiss nel 78. Ma nel vostro caso i brani che compongono i vari dischi sono sempre frutto del lavoro collettivo in studio: cosa cambia, concretamente, rispetto agli album incisi come Lo Stato Sociale?
«Ci sono stati meno compromessi e più libertà individuale: ognuno di noi ha potuto sperimentare ed esprimersi come meglio credeva, da direttore artistico del proprio progetto. Continuare a comporre insieme è stato un modo per impedire al gruppo di disgregarsi».
Lo Stato Sociale è come il pentapartito?
«Oppure come un governo dei migliori...».
«Ma sei sicuro che essere famosi in un Paese con la Lega al 40% sia una cosa positiva?», canta Bebo in un brano del suo disco, La senti questa forza. Risposta?
«Lo dobbiamo ancora capire».
Siete tra i pochi della vostra generazione a parlare esplicitamente di politica nei testi: perché oggi il disimpegno ha la meglio sull’impegno, nelle canzoni?
«È una scelta politica anche quella di non parlare di politica, nei dischi. Non pensiamo che sia obbligatorio mettere l’impegno davanti a tutto, come si faceva tra gli anni 60 e 70: ma come si fa a ignorare certi argomenti? Ormai ci circondano».
È una scelta politica anche quella di partecipare a Sanremo, quest’anno, dopo un anno di inattività e con teatri e club ancora chiusi?
«Può esserlo. Dipende da come utilizzi quel microfono. È un atto politico nel momento in cui calchi uno dei palcoscenici più importanti d’Italia, hai di fronte a te un megafono e parli della situazione attuale che stanno vivendo tutti i musicisti».
Però nella vostra Combat pop non ci sono riferimenti espliciti a questo argomento. L’unica canzone che ne parla è quella di Willie Peyote: «Riapriamo gli stadi ma non teatri né live».
«Combat pop è stata scritta prima della crisi. Parla di contraddizioni e non è poi così fuori tema. Ma al di là della canzone cercheremo comunque di portare all’Ariston dei messaggi, comprese le istanze dei lavoratori dello spettacolo».
Dopo la vecchia che ballava, stavolta cosa bisogna aspettarsi?
«Volevamo portare una tigre al guinzaglio sul palco, ma non ce l’hanno permesso. Lo avevamo chiesto già nel 2018 (ridono)».
Tornando seri: alcune cose non si potranno fare, per via dei protocolli. Potrete cantare vicini o dovrete rispettare anche voi il metro e mezzo di distanza sul palco?
«Non lo abbiamo ancora capito. Sappiamo solo che saremo tutti tamponati. Ma se così fosse dovremo rivedere la coreografia che abbiamo pensato».
Nella serata delle cover omaggerete gli Skiantos, bolognesi come voi?
«Possiamo dire che il pezzo che abbiamo scelto piace molto a tutti. E già è tanto: ci volevano cinque dischi solisti per farci andare d’accordo (ridono). Speriamo che il brano abbia senso anche per il pubblico: è molto attuale».