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 2021  febbraio 18 Giovedì calendario

La seconda vita di Totò

“Sì, è Totò che vive due volte. È un film che ritorna, ma confido nel- l’immaginario non sia mai morto”. È il 1988 quando Daniele Ciprì con il sodale Franco Maresco porta al Festival di Berlino l’opera seconda Totò che visse due volte: al ritorno, la censura si accanisce, per l’ultima volta, su un titolo nazionale. L’uno-due è micidiale: prima il divieto di uscire in sala, con l’accusa di “degradare la dignità del popolo siciliano, del nucleo italiano e dell’umanità”, poi la visione inibita ai minori di 18 anni, sicché pochissimi spettatori poterono fruire quella post-apocalisse stracciona e cristologica, scandalosa e moralissima, solo maschile e tutta angosciosa, che elevava a potenza autoriale l’esperienza di Cinico Tv e l’esordio al lungometraggio Lo zio di Brooklyn del duo siciliano.
Targato Cineteca di Bologna, il restauro in 4k di Totò che visse due volte conosce oggi il battesimo online, sulla piattaforma Il Cinema Ritrovato fuori sala: “Speriamo non succeda quel che è successo 33 anni fa, ne serbo un ricordo molto combattente, ma il film non lo potemmo vivere come avremmo voluto”.
Ciprì ne rievoca la genesi, l’ancoraggio “ossessivo ed evocativo al cinema che vedevamo, io e Franco, da ragazzi: la fantascienza anni Cinquanta, Pasolini, che risuona nella scelta di Bach”, e insieme “il mondo di Palermo: né barboni né macerie, piuttosto un futuro che non c’è”. Ne vennero le stimmate del cult e, passando per L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel e altro fantasy, “un racconto di verità” capace di figliare un genere inedito, “la fantacoscienza”.
Stracciandosi le vesti, gridando “orrore, orrore!”, i catoni tacciarono Totò di blasfemia: “Una cosa assurda, peraltro, molti preti, soprattutto in Toscana, ci difendevano, riconoscendo un’opera d’arte, e una riflessione sul male”. Il furore iconoclasta puntò quell’eterodossa Via Crucis, stigmatizzò quel Dio che non può salvarsi, e se ne uscì con un “tagliate qui, tagliate lì” irricevibile: “Peggio della censura, fu interdetto ai minori e dunque massacrato. Non incassò nulla, e ci perdemmo tutti, io, Franco, Andrea Occhipinti che distribuiva con la Key: vincemmo la causa, ma non fummo risarciti. E nemmeno riavemmo il finanziamento del ministero”. Le porte della storia del cinema, però, si spalancarono, e Ciprì rivendica orgoglioso la residenza: “Non l’avremo mai più un Totò, oggi i film sembrano calchi fatti a tavolino. In Asia non è così, in Italia invece siamo prigionieri dei clichè: prima le nouvelle vague, ora l’action, domani chissà. Certo è che il cinema d’autore non esiste più”.
In procinto di restaurare, per la cineteca felsinea, i primi due Fantozzi di Luciano Salce, Ciprì indica i colpevoli dell’estinzione: “I produttori, io li condanno tutti. Non hanno più coraggio di investire, oggi accomodano le serie sulle piattaforme: non cercano di farsi seguire dal pubblico, lo seguono supinamente. Franco se ne sta a casa, io sto dentro il sistema, e lo rimprovero: che ne è del cinema che avevamo, di Fellini, Antonioni, dell’autorialità estrema? A proporre un Totò che visse due volte oggi ti riderebbero in faccia”.
Ma l’originale vive, e complice la pellicola nemmeno per l’ultima volta: “Vedetelo, al massimo ci risentiremo dire ‘ma questi mascalzoni che catechismo hanno fatto?’”.