Corriere della Sera, 17 febbraio 2021
Intervista a Davide Calabria
Davide Calabria è il vero simbolo del nuovo Diavolo. Più di Zlatan Ibrahimovic, di Gigio Donnarumma. Perché nessuno nell’ultimo anno è cresciuto come lui. Se fino all’autunno del 2019 erano in molti, moltissimi, a considerarlo uno «non da Milan», oggi ha convinto tutti: Pioli, che lo fa giocare sempre, il club che vuole rinnovargli il contratto in scadenza nel 2022 e anche il c.t. azzurro Mancini che sta seriamente pensando di portarlo agli Europei. «Ho lavorato tanto, abbiamo lavorato tanto. Sì, è vero, è come se io e il Milan fossimo cresciuti insieme, in questo ultimo anno. Abbiamo capito dove c’era da migliorare e l’abbiamo fatto. In silenzio, anche quando tutti parlavano».
Parlano anche adesso. La sconfitta di La Spezia è stata pesante. Lei non c’era, squalificato per un’ammonizione evitabile contro il Crotone. C’è chi è convinto abbiate finito la benzina.
«È stata una giornata no. La classica partita dove si sbaglia tutto, tutti. Ma è già alle spalle. Ora rialziamo la testa».
Domani la Stella Rossa a Belgrado, domenica il derby: settimana chiave, c’è poco da girarci intorno.
«Niente panico, ne usciremo lavorando. Con umiltà, concentrazione, entusiasmo. Per il primo posto in campionato è una corsa lunga, nulla è compromesso. Quello che conta è arrivare primi alla fine. Ma ora la testa va alla coppa: ci teniamo moltissimo, vogliamo arrivare in fondo. L’Europa è l’ambiente naturale del Milan. Al derby ci penseremo da venerdì».
L’obiettivo la Champions, il sogno lo scudetto: giusto?
«Io sono cresciuto con la maglia del Milan addosso, fin da bambino. E a me hanno insegnato che qui si gioca sempre e solo per vincere. Non siamo partiti con l’obiettivo di vincere lo scudetto, nessuno ce l’ha chiesto. Ma abbiamo dimostrato di potercela giocare con tutti».
Certo, se perdete il derby l’Inter scappa a +4. Poi sarebbe dura riprenderli.
«Può cambiare la stagione, chiaro. Ecco perché vogliamo vincere già domani a Belgrado: vincere aiuta a vincere. Dobbiamo subito recuperare quella mentalità che ci ha permesso di essere in testa per 21 giornate. Poi penseremo al derby. E a vincerlo, ovviamente. Anche all’andata ci davano per sfavoriti, no?».
L’Inter è la squadra più forte del campionato?
«È la più attrezzata insieme alla Juve. Ma è tutto apertissimo. Ripeto: noi dobbiamo solo stare zitti e lavorare, come mi ha insegnato mia padre».
Faceva il muratore.
«Usciva alle cinque del mattino e tornava che io già dormivo. Lavorava duro nei cantieri. Senza lamentarsi, senza mai perdere il sorriso. Adesso ha aperto un bar, ma lavora più di prima. Il suo motto è: impegnati e sta’ zitto. Faceva fatica a venirmi a vedere alle partite, quand’ero ragazzino. Ma a tavola mi diceva: credi in te stesso, o nessuno lo farà al tuo posto».
Anche Maldini crede in lei da sempre. Anche quando in pochi lo facevano.
La lezione di mio padre
L’Inter è la più attrezzata con la Juve. Noi stiamo zitti e lavoriamo, come mi ha insegnato mio padre, prima faceva il muratore, ora ha un bar
«Gli devo moltissimo. Un mito. Mi ha incoraggiato fin dai tempi del settore giovanile. Sono milanista fin da bambino, il Milan era il mio sogno e me lo sono tenuto stretto».
È vero che con Pioli all’inizio non andava d’accordo?
«Qualche incomprensione, i primi tempi. Per me non è stato semplice imparare a giocare come mi chiedeva lui. Poi abbiamo parlato tanto, ci siamo confrontati e oggi sono migliorato molto, grazie proprio ai suoi insegnamenti. Abbiamo un rapporto eccezionale, è un grande allenatore e un grande uomo».
E da uno come Ibrahimovic cosa si impara?
«A dare di più, sempre. Zlatan fa la differenza. Lo guardi e ti senti più forte. Ci ha insegnato ad avere la mentalità vincente, a essere da Milan».
Gira voce che lei sia l’unico calciatore in serie A che non gioca con la Playstation.
«Sono una schiappa, perdevo sempre, quindi ho smesso. Poi non mi piace, non mi diverte. A volte mi chiedo come facciano i miei compagni a star davanti allo smartphone tutto il giorno. Meglio due passi all’aria aperta, stare con le persone vere, in carne e ossa. La tecnologia è importante, Internet è utile, ma il mondo vero è là fuori».
Però i social li usa.
«Sì, ma non li amo. Sono rimasto un ragazzo di campagna, fiero di esserlo. Milano è una meraviglia, la adoro, abito a Porta Nuova con la mia fidanzata Ilaria. Ma appena posso torno a casa, da papà Battista e mamma Caterina, dai miei amici, quelli veri. Con loro passeggio per i campi, vado per vigneti».
Franciacorta, terra di vini.
«Sono un collezionista, il vino mi ha sempre affascinato, mi dà il senso della terra, delle radici. Mio nonno lo faceva. Dove aveva la cantina, ci ho fatto un appartamento. Ecco, se ho un hobby è l’enologia. Mi piacerebbe tanto approfondire. Chissà, magari farlo diventare un lavoro, quando smetterò col calcio».
Ha 24 anni, manca ancora un bel po’. Dovesse scegliere un obiettivo fra la Champions col Milan e l’Europeo con la Nazionale cosa prende?
«Tutte e due. Perché credo che uno sia legato all’altro. È solo crescendo col Milan che posso guadagnarmi l’azzurro. Devo migliorare ancora tanto. Ma se ci andrò sarà bellissimo, sarà un sogno doppio che si avvera. Stapperò una bella bottiglia. Della mia terra, ovviamente. Insieme a papà».